
Forse dovrei intitolare questo post “Breve storia della rivelazione”. Anzi, “Brevissima storia della rivelazione” perché siamo disponibili a rivelare aspetti intimi di noi solo nella fase dell’innamoramento. Poi, quando l’innamoramento si trasforma in amore, iniziamo a diventare molto più riservati. Tanto riservati che le cose che non diciamo diventano quasi di più di quelle che diciamo.
Lo facciamo per paura: paura che qualche aspetto della nostra personalità influisca negativamente sulla relazione ma non ci rendiamo conto che, facendo così, rendiamo via via più sottile l’intimità tra noi e l’altro. E iniziamo a nutrire dubbi su di noi: “Se facessi vedere questo aspetto di me mi amerebbe ancora?“. “Se mostrassi le mie debolezze, sarei ancora accettata?“.
Quando ci poniamo queste domande non ci rendiamo conto di due cose importanti: la prima è che trattiamo il nostro o la nostra partner come se fosse un’estranea, incapace di memoria storica dei momenti felici. La seconda è che siamo noi, per primi, a non accettare questi aspetti. Siamo noi per primi a non volerci dire la verità su questi tratti della nostra personalità. Preferiamo nasconderceli come se fossero indegni o indecorosi.
Ci comportiamo come un genitore molto perbenista e ripetiamo così, senza consapevolezza, le stesse dinamiche familiari alle quali ci siamo ribellati: le dinamiche familiari che tendono ad uniformare anziché a sostenere l’unicità.
Amare a occhi chiusi significa amare come un cieco. Amare ad occhi aperti forse significa amare come un folle: accettare a fondo perduto. Marguerite Yourcenar, Fuochi
Pratica di mindfulness: Cos’è la rivelazione?
© Nicoletta Cinotti 2020 Reparenting ourselves