
Quando a una delle mie pazienti, Chloe, fu diagnosticato un tumore al seno, iniziò a frequentare un cosiddetto «gruppo di sostegno». Sperava di trovare persone compassionevoli e consapevoli, capaci di riconoscere realisticamente quanto il cancro faccia male e paura, fornendo al contempo supporto e incoraggiamento sincero. Ma quello che invece trovò fu, per usare la sua terminologia, «un branco di fanatiche del pensiero positivo». Queste donne non riconoscevano il dolore e la paura di Chloe e le dicevano invece di pensare positivo, di vedere il suo cancro come un «dono». Dicevano che doveva considerarsi fortunata perché la malattia le aveva dato un’occasione per «svegliarsi» e apprezzare la vita; un’opportunità di apprendere, crescere e amare con maggiore pienezza.
Ora, personalmente, sono assolutamente a favore dell’apprendere, del crescere e dell’amare in modo più pieno e tutto questo libro parla di risvegliarsi e apprezzare la vita. Ma c’è una bella differenza tra questo e il vedere il cancro come un dono o considerarsi fortunati per il fatto di averlo. E sostituisci la parola «cancro» con «morte di tuo figlio» o «la tua casa distrutta da un incendio» o «essere violentati» o «prigionia in un campo di concentramento» o «perdere un arto». Quanto sarebbe disumano definire questi eventi «doni» o dire alle persone che sono «fortunate» perché gli sono capitati? È l’esatto opposto di una risposta amorevole e compassionevole.
Tutti noi abbiamo una miriade di opportunità per imparare, crescere, risvegliarci e apprezzare le nostre vite; non abbiamo bisogno che ci succeda qualcosa di terribile per farlo. E se qualcosa di terribile effettivamente succede, cerchiamo senz’altro di imparare da questa esperienza e di crescere, ma non facciamo finta che sia meravigliosa o che siamo stati fortunati ad averla. Io ho imparato e sono cresciuto molto avendo mio figlio e ho avuto tantissima gioia e soddisfazione insieme al crepacuore, ma non penso che l’autismo sia un «dono». Detto questo, di quando in quando incontrerai o sentirai parlare di qualcuno che dice che la sua malattia o l’incidente che ha avuto (…) sia la cosa migliore che gli sia mai capitata perché ha trasformato la sua vita in positivo (…) quelle sincere sono davvero fonte di ispirazione; ma la sensazione che ho io è che queste persone siano molto poche e molto rare (…) Perché allora non essere sinceri con sé stessi? Quando succedono cose brutte, riconosciamo quanto è doloroso e trattiamoci con gentilezza.
Perciò, se hai accolto il tuo dolore, ti sei mostrato compassionevole verso te stesso e fatto quello che puoi fare per migliorare la situazione, allora potrebbe essere arrivato il momento per considerare una serie di questioni:
- cosa posso imparare da questa esperienza e come posso crescere attraverso di essa?
- quali qualità personali potrei sviluppare
- quali abilità pratiche potrei imparare o migliorare?
© Russ Harris, Quando il mondo ti crolla addosso
Per la Rubrica “Addomesticare pensieri selvatici” www.nicolettacinotti.net