
In questo senso avere una buona capacità di “aggiustare il tiro”, di “riparare le rotture” è fondamentale per la qualità della nostra esperienza relazionale.Passiamo molto tempo alla ricerca della sintonia, in un importante e delicato processo di regolazione reciproca che conduce, se siamo fortunati, infine, ad “andare d’accordo”. Spesso i nostri errori sono momenti in cui possiamo ampliare la consapevolezza della realtà, la consapevolezza su di noi e sull’altro. E, partendo da questa visione più ampia, maturare una migliore qualità di presenza relazionale.
Strumenti verso la capacità di “riparare”
Il primo elemento fondamentale è il nostro porci realisticamente e non idealisticamente in una relazione (umana o terapeutica che sia). Essere in contatto con la realtà, essere radicati, grounded per usare un termine a noi familiare, ci permette di essere aperti nella consapevolezza “momento per momento” e avere un corpo vivo e vibrante, in grado di raccogliere la pienezza del sentire. “Il contatto con la realtà non è una condizione del tipo tutto o nulla” (Lowen, 1994,p.35) ma un processo in continuo divenire, che necessita, per l’appunto di un corpo responsivo.
Il grounding ci apre al secondo elemento rilevante: la nostra possibilità di sentire. Una possibilità che ci permette poi, e questo possiamo ben dire che è il terzo elemento rilevante, di essere in risonanza corporea con il nostro interlocutore, una risonanza corporea che è la base del terreno relazionale, del grounding relazionale.
Il crescendo degli affetti
La capacità della madre di essere “in contatto” con il bambino percepita come emozione nel proprio corpo, dipende dalla sua capacità di sopportare, senza paura, l’espressione emotiva del bambino. Questa risonanza rende possibile condividere l’espressione emotiva della persona con la quale si è in relazione. È una capacità fondamentale per permettere al bambino di imparare a modulare quello che Stern chiama il “crescendo degli affetti”. Una capacità che è strettamente in relazione con la capacità della madre di tollerare gli stati di eccitazione del bambino e strettamente in relazione con la capacità dello psicoterapeuta di tollerare gli stati affettivi primitivi del paziente. Una capacità che richiede consapevolezza corporea e identificazione vegetativa. Come dice Lowen:
«La capacità di sentire ciò che sta accadendo ad un’altra persona,capacità che ho definito empatia, si fonda sul fatto che il nostro corpo entra in risonanza con altri corpi viventi. Se questa risonanza manca vuol dire che non siamo in risonanza con noi stessi. Chi dice “non sento niente” ha spento non solo il senso della propria vitalità, ma anche qualsiasi sentimento che possa nutrire per gli altri, uomini o animali che siano» (Lowen 1990, p. 63).
Ecco allora che si delinea l’elemento caratteristico del percorso bioenergetico: risvegliando il corpo, arrendendoci al corpo, ci apriamo alla nostra possibilità di sentire, noi stessi e gli altri. Sviluppiamo la nostra capacità percettiva ma anche la nostra capacità di cogliere i segnali, che a volte sono microsegnali, che gli altri ci mandano e rispetto ai quali attiviamo processi di risonanza corporea/emotiva. Un processo che può avvenire a partire dall’esperienza, non concettuale ma vissuta, di essere nel proprio corpo.
La consapevolezza corporea, pur non essendo, come ripeto, un elemento concettuale, diventa poi una profonda forma di conoscenza di noi stessi e ci apre alla conoscenza degli altri. Una forma di conoscenza che si basa, oppure possiamo dire ha radici, nell’intimità. Cos’è infatti la consapevolezza se non lo schiudersi del processo di intimità con se stessi?
Grounding, capacità di sentire e risonanza corporea diventano così gli elementi base del percorso di riparazione in bioenergetica. Un percorso che si apre sia sul versante umano che su quella psicoterapeutico, all’esperienza dell’altro.
Lo specifico bioenergetico non si ferma però a questo punto, questa è piuttosto la base dalla quale partiamo. Da qui si arricchisce di altri due elementi di grande interesse clinico: la componente motoria delle emozioni e la comprensione dell’altro attraverso l’azione motoria.
Proviamo adesso a raccontarlo usando le parole di Lowen:
«Il processo terapeutico, che ha lo scopo di favorire o accrescere l’essere o il sé del paziente, comporta un “lasciar andare” di queste azioni inibitrici, il che permette al flusso dell’eccitazione di scorrere liberamente. Con la terapia il paziente impara a “sciogliere” il fare che blocca il flusso. Non è un modo di imparare come essere, ma come non fare (Lowen, 1980, p. 88) (virgolettato e corsivo come nel testo originale)».
Poco più avanti prosegue: «Il “tenersi”, seppur inconscio, è una difesa dell’Io contro le sensazioni che, in passato, sono state percepite come pericolose. Per esempio una persona potrebbe aver paura della propria tristezza, sentendo che, se si arrendesse ad essa, cadrebbe in una disperazione così profonda a cui non potrebbe sopravvivere» (Lowen 1980, p. 89).
Una descrizione chiara di come, trattenendoci muscolarmente inibiamo il processo di consapevolezza e sostituiamo il controllo, alla padronanza di sé.
Passiamo adesso ad esaminare l’altro aspetto, ossia la comprensione dell’altro attraverso l’azione motoria.
La saggezza del fallimento
È il titolo dell’ultimo capitolo di Paura di vivere ma è anche un tema ricorrente nel-l’opera di Lowen. Parla dei suoi fallimenti terapeutici tanto quanto parla dei suoi successi e questo lo colloca naturalmente nel tema delle rotture e riparazioni .
Vediamo quindi con quale panorama ci possiamo apprestare a leggere il processo di riparazione.
Innanzitutto, e sembra quasi un paradosso, l’attenzione al presente. Riparare quindi non come processo di ricostruzione storico e biografico né come progetto di trasformazione o miglioramento ma come radicamento nella realtà del momento presente. «L’attenzione esagerata al futuro toglie significato e piacere al presente (Lowen, 1980,p.199). Quando il futuro sostituisce il presente, quando il fare nega l’essere, sorgono i problemi».
La terapia come processo non rivolto al fare ma come espansione dell’essere, come sostegno al sé per ristabilire il fluire del processo di crescita:
«Rinunciare alla propria posizione difensiva non richiede uno sforzo di volontà. È quello che noi terapeuti definiamo “lasciar andare”. Tutt’al più è un lasciar andare la volontà, un abbandono ai processi spontanei e naturali del corpo e della vita. Anche se in origine il sistema difensivo si è sviluppato come mezzo di sopravvivenza, nel presente costituisce una difesa contro la vita e rappresenta una paura della vita». (Lowen,1980,p.85)
Ma qual è la “saggezza del fallimento” allora, potremmo chiederci, quali vantaggi ci danno le rotture? «Saggezza è rendersi conto che la conoscenza non basata sulla comprensione non ha significato perché non fa riferimento alla totalità. D’altra parte, la comprensione senza conoscenza non ha potere perché manca dell’informazione basata sui fatti necessaria per controllare una situazione o per effettuare un cambiamento»(ibidem,p.203).
Si intreccia così, nel processo terapeutico, la necessità di partire dal corpo per arrivare ad integrare i processi emotivi e cognitivi in un percorso retto dall’esplorazione e dall’accettare ciò che c’è, così come si presenta. Un percorso in cui corpo e parola si incontrano, entrano in sintonia, per essere, in fondo, nella realtà delle cose.
di Nicoletta Cinotti
https://www.nicolettacinotti.net/eventi/reparenting-ourselves-ritiro-dal-vivo-e-home-retreat/
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