
In queste settimane estive ho cercato di tenere il filo del quoziente di felicità, perchè la felicità, malgrado sia tutt’altro che un tema originale, mi affascina sempre. È stato questo tema che mi ha fatto approdare al libro di Alberto Simone, La felicità sul comodino (E che poi mi ha spinto ad invitarlo al Convegno/Laboratorio, La bellezza delle parole). Il libro è semplice e ben scritto e, come tutte le cose semplici, arriva al cuore. Come se fosse una conversazione intima con un amico. Niente tecnicismi pur essendoci dietro, sicuramente, anche della tecnica. C’è un’altra ragione per cui ho letto con curiosità il suo libro: in genere l’argomento felicità è un argomento affrontato in area buddista. Questa volta invece credo che potremmo mettere il libro nel grande bacino del pensiero positivo. Un pensiero positivo che incontra un sano buonsenso!
Da dove nasce l’idea del libro? Nasce dalla considerazione che tutti desideriamo essere felici e condividere la felicità con le persone che amiamo. E che tutti, almeno una volta, siamo stati felici e questa esperienza ci ha lasciato un senso di nostalgia che alimenta la nostra continua ricerca. Perchè non ci basta essere felici una volta: vorremmo essere felici sempre.
La felicità non sta alla fine dei problemi
L’idea che la felicità sia un punto di arrivo, quando i problemi sono finiti è, in realtà un grande impedimento alla possibilità di essere felici. Gioia e dolore sono quotidiani, si alternano ogni giorno. Tendiamo a vedere di più quello che ci preoccupa per l’idea di doversi difendere. È se invece cominciassimo ad aver gratitudine per le piccole e grandi cose che vanno bene?
Perchè l’universo è regolato da due leggi che hanno un effetto diretto sulla nostra felicità: la legge dualistica – che afferma che di ogni fenomeno esiste il suo opposto – e la legge dell’impermanenza che ci ricorda che tutto è in costante cambiamento.
Come dice Emily Dickinson “L’acqua è insegnata dalla sete, la gioia dal dolore, la pace dai racconti di battaglia…”a volte è duro accettare questo aspetto della realtà ma, per fortuna, l’impermanenza giunge in nostro soccorso. Anche il momento più duro finisce e, forse, ci sono momenti di insondabile e imprevedibile felicità anche proprio nelle situazioni difficili.
A quale felicità fa riferimento Alberto Simone? Una felicità sempre disponibile che nasce all’interno di noi, che è nostra per diritto di nascita.
È una felicità collegata all’abbandono dell’idea ricevuta di non essere abbastanza, di non meritare amore, fortuna e abbondanza, che non ci sia condizione o luogo dove tu possa sentirti completamente al sicuro.
Affermazione forte che ha aumentato la mia curiosità: che strada prendere dunque per entrare dentro questo tipo di felicità?
La mente negativa
Il primo passo che il libro sottolinea è la cura nei confronti degli effetti di quella che chiama “la nostra mente negativa”: quella tendenza a vedere il bicchiere mezzo vuoto che non ci protegge da nessun pericolo reale e ci fa sempre stare sul campo di battaglia. Un esempio di come alimentiamo la nostra mente negativa è il lamento che nasce con l’idea di “sfogarsi” e che, invece, non fa che aggravare il nostro disagio. Il lamento forse è un esito evolutivo del pianto neonatale ma, da adulti, non ci sarà nessuno che verrà a consolarci. La cura per il lamento è rendersi conto che, da adulti, abbiamo potere sulla nostra vita. Possiamo scegliere se coltivare un’abitudine che ci fa stare di male in peggio oppure se fermarci e riprendere la padronanza della situazione. Come dice il Dalai Lama “Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia fai che non sia la tua mente”.
A corollario della nostra tendenza a lamentarci aggiungiamo anche la tendenza a preoccuparci con qualche dato: un bambino prima di iniziare a parlare sorride spontaneamente circa 400 volte al giorno. Un adolescente mediamente scende a 17 sorrisi spontanei al giorno. Un adulto quasi mai ha sorrisi spontanei, quei sorrisi che ti vengono perchè qualcosa di quello che accade ti colpisce e apre il cuore. Come mai perdiamo la capacità di sorridere e stupirsi? Perchè ci preoccupiamo. Non serve preoccuparsi, raramente ci permette di prevenire davvero i problemi ma questa tendenza è fortissima da debellare e passa attraverso il continuo proliferare mentale e attraverso le parole che usiamo quotidianamente
Ecologia delle parole
Anche se “Ecologia delle parole” è un breve capitolo è il cuore del libro e del pensiero positivo. Non c’è cambiamento possibile senza diventare consapevoli delle parole che usiamo nei confronti di noi stessi e della nostra vita. L’invito che porta avanti è un invito fondamentale: la nostra mente è sensibile alle parole come le foglie al vento. Non possiamo pensare che questo non abbia un effetto su di noi. L’altro giorno sono andata in lavanderia a ritirare del materiale dello studio che avevo fatto lavare. Ho chiesto la fattura che comporta lo scorporo del 22% di IVA. La signora della lavanderia non sapeva fare questo piccolo calcolo e ha iniziato ad inveire contro se stessa. Era davvero doloroso sentire quanto era aspro il suo modo di trattarsi. Fortunatamente sapevo fare lo scorporo (non è scontato: l’Italia è uno dei paesi al mondo con la peggiore preparazione in matematica), l’ho aiutata ma prima di aiutarla con la calcolatrice, l’ho rassicurata che non era una stupida: semplicemente non era abituata a quella richiesta e che probabilmente era molto più intelligente di me in tante cose. (E me l’ha dimostrato subito dopo preparando un pacco incredibile a prova di bomba mentre io soccombevo nella mia scarsa praticità!).
Questa attenzione alle parole e all’importanza del pensiero positivo è stata suffragata dalle ricerche collegate alla Relational Frame Theory che approfondisce come le parole disegnano le relazioni di significato che vengono attribuite dalla nostra mente. Questa teoria è alla base dell’approccio ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e, con rigore scientifico, permette di comprendere cosa succede quando il nostro dialogo interiore è attivo e come rispondere agli effetti, spesso patologici, di questo dialogo. Nel libro trovate una specie di vademecum: un invito ad usare parole che fanno bene e ad evitare parole che oltraggiano noi o gli altri perchè, chi parla male, vive male. Per questo è necessario creare una nuova ecologia delle parole.
È anche un invito pratico: una specie di preghiera finale da leggere la mattina o la sera ( o entrambe) per coltivare con parole buone la nostra mente.
Cosa fare quando le cose vanno effettivamente male?
Cosa fare però quando le cose vanno effettivamente male? Praticare l’accettazione: non lottare contro qualcosa che, proprio perchè già presente, non può essere scacciato, e fare spazio all’accettazione e alla gratitudine. Gratitudine per le piccole cose che danno valore alla nostra vita. Cose che non possono essere comprate e che tendiamo a dare per scontate. Partiamo da qui ma non fermiamoci qui perchè l’altro aspetto – centrale per la felicità alla quale aspiriamo – è il principio di auto-realizzazione. Una realizzazione che può avvenire, come la trasformazione del bruco in farfalla, iniziando a dedicare del tempo a noi stessi, alle nostre aspirazioni e ai nostri desideri.(Io tremo un po’ perchè tante volte ho ascoltato il dolore di chi sente di non avere un’ispirazione personale), Vero è che, se hai una passione, questa illumina tutta la vita. E fa della nostra vita un’opera d’arte!
La visione dell’uomo a cui il libro fa riferimento è un uomo completo, non intaccato dalle ferite della vita quotidiana: è l’invito a fare riferimento a questa parte di noi integra e completa, a questo Sè superiore che è la radice della nostra quotidiana spiritualità. È una visione che mette insieme la spinta all’auto-realizzazione della psicologia umanistica con aspetti connessi alla spiritualità: ad ognuno la responsabilità di trovare, in questo invito, la propria dimensione personale. Con una avvertenza che ripete più volte: il mondo che vediamo è sempre influenzato dal nostro stato mentale perchè proiettiamo – più o meno consapevolmente – ciò che sta nei nostri pensieri. Se cambiamo i nostri pensieri cambia anche il nostro modo di percepire il mondo e cambia il senso di minaccia o pericolo che avvertiamo.
Tre condizioni per essere felici
Perché a volte, se non hai niente, riesci a essere felice, e se hai tutto, molto più di quello che ti serve, sei insoddisfatto, depresso, infelice, incapace di provare un filo di meraviglia e gratitudine?
La risposta sta in tre condizioni che sono necessarie per la felicità: il senso di appartenenza, la volontà di condivisione, la capacità di offrire se stessi. La presenza di queste tre condizioni ci apre alla possibilità di sperimentare la felicità e come ci relazioniamo con queste tre condizioni ci mette nella condizione di diventare riparatori o vendicatori. I riparatori sono persone per le quali non esiste felicità senza condivisione e appartenenza al benessere collettivo. I vendicatori sono persone che trasformano la loro ferita in avidità e vendetta. Non so se queste due posizioni sono rigidamente differenziate: forse siamo tutti un po’ riparatori e un po’ vendicatori. È vero che non esiste una felicità solitaria: la felicità è, per sua natura, contagiosa, ma brilla solo se possiamo condividerla.
Alla fine cosa tieni sul comodino?
Il riferimento al comodino è intimo ed è una delle metafore che ho apprezzato di più. Perché quello che teniamo sul comodino ci dice come andiamo a letto e come ci svegliamo la mattina. Ci dice in che modo chiudiamo la nostra giornata e in che modo ci disponiamo ad aprirla. È forse uno dei momenti in cui siamo più intimi e vulnerabili e davvero, quello che teniamo vicino a noi, in quel momento, fa la differenza. L’invito è a darsi una buona notte e un buon giorno. In qualunque modo questo possa realizzarsi per noi.
Concludo con una frase di Thich Nhat Hanh, che anche lui invita a ripetere al mattino, appena apriamo gli occhi. La condivido perchè è quello che io tengo sul comodino: Svegliandomi stamattina sorrido. Ventiquattro ore nuove di zecca sono dinnanzi a me. Giuro di viverle a fondo e di imparare a guardare ogni cosa intorno a me con gli occhi della compassione.
© Nicoletta Cinotti 2018