Perché la Mindfulness aiuta il sistema nervoso? Secondo Convegno Nazionale di Mindful Education
Prima di parlare di Mindfulness è bene introdurre alcuni concetti legati al sistema nervoso. Ho scelto di dedicarmi in particolare alla teoria polivagale (Stephen Porges), fondata su quarant’anni di ricerche multidisciplinari.
Le pratiche contemplative del mondo orientale hanno considerato per secoli mente e corpo come un tutt’uno, elementi indissolubili nella stessa esperienza. Ciò che accade nel corpo influenza la mente e ciò che accade nella mente influenza il corpo. La teoria polivagale è uno dei sostegni più forti che la scienza occidentale ha trovato in questo senso.
Un sistema nervoso stratificato
Partiamo dal presupposto che il cervello umano non sia comparso casualmente dal nulla, diverso e separato da quello di tutti gli altri esseri viventi complessi. Si è sviluppato nel corso di milioni di anni con delle stratificazioni: nelle parti più profonde abbiamo parti comuni a pesci e anfibi, a salire ci sono i rettili, i mammiferi. Da qui si entra più nello specifico con raffinamenti comuni con i primati, fino poi ad arrivare a noi. Abbiamo un background importante che non può essere messo da parte, è letteralmente incarnato. Per comprendere meglio come questo si traduca in maniera visiva possiamo immaginarci una cipolla, dove lo strato più superficiale è il più nuovo, evolutivamente parlando, mentre il cuore interno è il più antico.
Il nervo vago: un funzionamento in tre parti
Come le teste di una chimera operano singolarmente, possiamo dividere il funzionamento del nostro sistema nervoso in tre parti, tre strati con funzioni diverse. Questa struttura a livelli segue alcune regole semplici ed efficaci: vige un principio gerarchico per cui il funzionamento ed il controllo spettano allo strato più recente, alla corteccia prefrontale, all’uomo. Quando uno strato non può adempiere adeguatamente alle sue funzioni, il controllo passa allo strato precedente a livello di evoluzione, e via così fino alla parte più primitiva.
Il nervo vago è un importantissimo organizzatore interno che regola le comunicazioni fra questi strati. L’innervatura più sofisticata (mielinizzata) è la diramazione vago ventrale. Quando questo sistema è attivo siamo in grado di riposare, recuperare energie, crescere, apprendere, ma soprattutto coinvolgerci socialmente con i nostri simili, regolare la prosodia della voce, le espressioni facciali. È qui che possiamo “essere” pienamente umani, è qui che possiamo modulare con finezza la nostra attenzione per i complessi compiti che richiede la comunicazione sociale. Il vago ventrale, essendo mielinizzato, può regolare gli impulsi in maniera fine. Per fare un esempio bruto, è come avere un telecomando che può impostare il volume usando tutti i numeri da uno a cento. Per “grezzo”, di cui parleremo in seguito, potremmo intendere invece un telecomando che permette di scegliere solo i multipli di dieci.
La funzione di freno del nervo vago
Il nervo vago pone un freno sul pacemaker cardiaco, lo tiene a bada. Senza questo freno il nostro cuore non starebbe sui 60-70 battiti al minuto, ma andrebbe ben più forte. In parole semplici, quando questo sistema è attivo siamo regolati, perché se ci pensate, per una comunicazione efficace occorre esserlo (la disregolazione, non a caso, rientra in tante problematiche psicopatologiche).
Ti ascolto, mi freno, inizio a parlare, mi attivo, ti lascio la parola, mi freno ancora, nel frattempo seguo i movimenti del tuo corpo e del mio (a diversi livelli di consapevolezza ovviamente). Serve precisione. Come dicevo all’inizio, se il cuore partisse all’impazzata la mente entrerebbe in uno stato del tutto diverso, anche gli organi del corpo si attiverebbero in altra maniera.
Il secondo sistema
Arriviamo qui al secondo sistema, quello appena più profondo. Quando il coinvolgimento sociale non è più adatto è il sistema simpatico a prendere il comando e sono due le reazioni principali ad esso deputate: attacco-avvicinamento / fuga-allontanamento. L’intero organismo si mobilita, aumenta l’energia e la reattività, aumenta anche la forza. Tutto questo in cambio di qualcos’altro. Non abbiamo più accesso al ragionamento fine che potremmo fare chiacchierando con amici o colleghi; anche le vocalizzazioni diventano meno modulabili. L’intero sistema perde l’omeostasi (si compromette la pressione sanguigna, la termoregolazione, nutrimento e digestione), non si cresce né si recupera, questo perché le energie vanno impiegate per risolvere un problema concreto.
Può capitare che anche questo secondo sistema non sia adeguato alla situazione, e allora arriviamo all’ultima parte, la diramazione vago dorsale (non mielinizzata, “grezza” come detto in precedenza). Si occupa dei meccanismi di immobilizzazione (Freezing, Sottomissione Totale, blocco con collasso, dissociazione, morte simulata). È l’ultima risorsa disponibile, molto pericolosa per noi mammiferi – essendo molto dispendiosi in termini di consumo di ossigeno. Quando non basta attivarsi e combattere, l’intero sistema si spegne.
Come passiamo da un sistema all’altro?
Come passiamo da un sistema all’altro? Neurocezione
Fino ad ora abbiamo preso in considerazione questi tre sistemi senza considerare il meccanismo che stabilisce quale di questi sia più necessario nel momento. Questa è la neurocezione, una specie di radar integrato, costantemente attivo e impegnato a mappare la sicurezza dell’ambiente interno e dell’ambiente esterno.
La neurocezione funziona utilizzando le informazioni veicolate dai cinque sensi e dall’interocezione, la sensibilità interna al corpo (le farfalle nello stomaco degli innamorati, il petto pesante della tristezza e via dicendo).
Questo sistema di sicurezza integrato stabilisce quando siamo in una condizione di sicurezza (e quindi ci dà accesso al sistema vago ventrale del coinvolgimento sociale) e quando siamo in una condizione di insicurezza. Fra queste ci sono due distinzioni da fare: il pericolo con via d’uscita (dove si attiva il sistema simpatico, la reazione attacco/fuga) ed il pericolo senza via d’uscita (dove invece si attiva il sistema vago dorsale, l’immobilizzazione e la morte simulata).
Un sistema “fuori controllo”
Tutto questo meccanismo non è sotto il nostro controllo. Avviene al di sotto del livello di coscienza. Per questo non possiamo pensare lucidamente quando siamo troppo agitati o in una condizione di pericolo. Per questo se un nostro simile è disregolato non può tornare ad uno stato di calma se gli chiediamo di farlo.
Perché è così importante l’interocezione?
Mi capita spesso, insegnando mindfulness nei protocolli MBSR, di incontrare persone che non hanno una percezione chiara del proprio corpo, né una percezione distinta di ciò che avviene nella mente. Pensieri, immagini, emozioni, stati mentali, sono tutti elementi che talvolta vengono fraintesi, scambiati o ignorati.
Nonostante questo, tutti questi elementi della nostra esperienza sono fondamentali. Una buona interocezione nel bambino si forma anche grazie alla regolazione che la figura di riferimento riesce a dare. Il bambino prova una sensazione spiacevole, il genitore comprende trattarsi di fame e lo nutre. Questo è un ottimo esempio di come tutto il sistema inizi a regolarsi. Se un bambino inizia a sviluppare un sistema nervoso sano, ben integrato, sarà in grado di ascoltare i propri bisogni (nutrimento, protezione) e quindi sarà anche in grado di entrare in relazione adeguatamente. Ma cosa succede se la percezione di ciò che avviene all’interno, se l’interocezione non è precisa? Cosa succede se rimaniamo all’oscuro delle correnti che muovono la nostra mente?
Il ruolo dell’interocezione
Ci muoviamo in maniera sempre più reattiva e automatica. Abitiamo il mondo e la nostra esperienza passando da un sistema all’altro senza neanche comprenderlo. Questo può creare moltissimo stress, moltissima fatica. A volte leggiamo come pericolose sensazioni che non lo sono e compromettiamo la nostra possibilità di vivere felicemente il momento. A volte invece non ci accorgiamo di essere in una situazione pericolosa perché non siamo allenati a riconoscere i segnali.
Ma come mai dovrebbe essere così importante conoscere quello che il corpo dice? Come mai il nostro funzionamento cognitivo e sociale ne è così dipendente? Perché le emozioni, la regolazione affettiva ed il comportamento sociale sono rappresentati da un’interazione complessa tra la mente ed il corpo, sono incarnate e pensate, non possiamo escludere un elemento in favore di un altro. Parliamo di una comunicazione dinamica e bidirezionale tra gli organi periferici ed il sistema nervoso centrale.
Come ci aiuta la mindfulness
Siamo finalmente arrivati al nodo cruciale della questione. Abbiamo un sistema nervoso complesso, abbiamo accesso alla mente umana solo in una condizione di sicurezza, abbiamo una neurocezione che stabilisce la sicurezza non a un livello cosciente. Per questo ci serve la Mindfulness, proprio come pratica.
Mindfulness vuol dire consapevolezza, e come pratica si intende il portare l’attenzione al momento presente, scegliendo un oggetto di pratica come ancoraggio, osservando il costante divenire dell’esperienza. Proviamo a metterla in termini ancora più concreti: di che cosa abbiamo esperienza nel momento presente? Del corpo e della mente, e come abbiamo detto, non sono elementi separati.
Se raffiniamo la nostra esplorazione però possiamo considerare corpo e mente come dei macro-insiemi composti da vari elementi. Il corpo composto dai sensi e dall’interocezione, la mente composta dalle tonalità affettive (il piacevole, spiacevole e neutro dell’esperienza, quella percezione immediata che potremmo avere quando riceviamo una carezza o un pizzicotto, ad esempio), le cognizioni (ciò che ci fa distinguere fra questo e quello, le categorie, i pensieri e le immagini con cui stabiliamo che io sono un uomo, che faccio lo psicologo e via dicendo), gli stati mentali (predisposizioni ad agire, emozioni, il clima della mente) e le volizioni (le intenzioni, le azioni messe in atto).
Fare tutte queste distinzioni, osservare l’esperienza più da vicino, con allenamento, ci permette di regolare il funzionamento del sistema nervoso.
Regolati: un nuovo significato
Come mai? Perché nel praticare mindfulness meditiamo, e lo possiamo fare solo se siamo regolati, in un contesto sicuro e tranquillo. Quindi ci mettiamo in una condizione in cui il nostro sistema può riposare, ripararsi e crescere, oltre che aumentare la nostra finestra di tolleranza agli stimoli stressogeni che mettono in allarme la neurocezione. Più siamo consapevoli di quello che accade così come accade, delle cose che esperiamo così come sono, più siamo liberi dagli automatismi. Non rischiamo più di reagire in automatico a pericoli inesistenti o non reagire a minacce reali perché la nostra percezione migliora, diviene più precisa.
Praticando Mindfulness alleniamo anche la nostra flessibilità, la nostra pazienza. Non smetteremo di reagire, questi tre sistemi incarnati che abbiamo sono un regalo dell’evoluzione che volenti o nolenti non possiamo togliere. Quello che possiamo fare però è conoscerlo e usarlo più saggiamente.
© Niccolò Gorgoni 2018 Niccolò Gorgoni condurrà Il protocollo MBSR Genova edizione serale e Torino. Serata di presentazione Genova 8 Ottobre 2018
https://www.nicolettacinotti.net/eventi/il-protocollo-mbsr-a-genova/2018-10-08/