
“Che consiglio mi daresti?“mi chiede con occhio da cerbiatto la ragazza che non sa cosa scegliere all’Università . “Qual è il suo parere? mi domanda il dirigente che non sa se lasciare il posto in cui si trova per passare ad un’altra società o rimanere dov’è ri-contrattando la sua posizione. Vado a destra o vado a sinistra? mi sollecita mio marito quando gli faccio da navigatore in una città sconosciuta.
L’effetto di queste domande è duplice. Una piccola parte di me – quella vanitosa che fa l’esperta della vita – vorrebbe subito far bella mostra delle sue conoscenze. Prendere in prestito per un po’ la vita dell’altro e guidarlo, proprio come se fossi il navigatore di un pilota di rally. Perché, diciamoci la verità, la nostra vita assomiglia più ad un rally che ad una tranquilla escursione fuori porta. A volte cado nella trappola e rispondo. Sempre inutilmente: mio marito va nella direzione opposta e la ragazza e il dirigente fanno qualcosa di diverso. Perché? Perché alla fine, anche se vorremmo essere certi di non sbagliare, dentro di noi una voce – a volte forte, a volte flebile – ci dice che è meglio stare a sentire noi stessi che gli altri. Così anche l’esperta vanitosa che sta in me cede le armi all’altra: l’ascoltatrice attenta, l’allenatrice dell’ascolto.
L’allenatrice dell’ascolto
Ho iniziato a fare l’allenatrice dell’ascolto da sempre. I suoni mi son sempre sembrati informazioni fondamentali rispetto alla sicurezza di un luogo. Ho un detector speciale per sentire il suono di un litigio a miglia di distanza: l’ho affinato nell’infanzia. Insieme al suono – o meglio al silenzio – che precede la tempesta. Nel tempo questo particolare tipo di udito mi è stato utile nella mia professione. Ho imparato ad ascoltare quello che le persone dicono ma soprattutto quello che non dicono. Che spesso è la parte più interessante del discorso.
È infatti la parte in cui la mente parla e la mente parla più attraverso quello che non si dice esplicitamente che attraverso le parole che si dicono apertamente. Non è una distinzione tanto facile da far capire ed è uno dei motivi per cui le persone hanno tanti dubbi: perchè dicono una cosa ma ne pensano un’altra. O meglio cercano di convincersi di una cosa mentre una voce dentro di loro dice qualcosa di profondamente diverso. E di solito quella voce ha ragione da vendere
[box] La poesia è scritta con le orecchie. Billy Collins[/box]
Come ascoltare la voce dentro
Così ad un certo punto mi sono detta che tutto sarebbe stato molto più semplice se avessi offerto, nella psicoterapia e non solo, strumenti per ascoltare la propria voce. È così che mi è venuta davanti la mindfulness: come un modo per ascoltare la propria voce. È così anche che mi è venuta in mente la scrittura: come un modo per dare corpo alla mente, un modo diverso per ascoltare la propria voce. È così che ho scoperto una cosa che, all’inizio, mi è sembrata stranissima: le persone hanno paura della profondità.
Siccome io ho passato l’infanzia nascosta in profondità non capivo come le persone potessero averne paura. Mi nascondevo in profondità perché questo attutiva i rumori degli adulti – che non mi piacevano affatto. Quella profondità, per un bambino, è solo il luogo della fantasia e non fa troppa paura. Anzi a volte non fa davvero paura: fanno molto più paura le cose fuori che quelle dentro. Però molte persone hanno paura della profondità: perché?
La paura della profondità
La paura della profondità prende molte forme. Alcune persone temono di scoprire segreti inconfessabili. Altre di avere parti mostruose. Altri ancora hanno paura che riemergano esperienze negative vissute. È come la storia che racconta Chandra Livia Candiani dell’uomo che aveva paura della propria ombra e delle sue impronte. Siccome ne aveva paura si mise a correre per scappare. Più correva e più le impronte erano profonde e l’ombra era presente. Solo la notte toglieva le ombre ma le impronte rimanevano. Alla fine, stanco di tanto correre cadde a terra e si accorse che quell’immobilità faceva sparire le impronte e che l’oscurità faceva sparire le ombre. (Chandra dice che l’uomo corse fino a che morì ma io preferisco questa versione meno drammatica!). È la nostra paura della profondità che la rende spaventosa. Se ci fermiamo possiamo accorgerci che non c’è niente di spaventoso, niente da temere. Niente che, stando fermi e in ascolto, non si possa riparare. È qui che arriva la meditazione: stando fermi e in ascolto.
70.000 pensieri al giorno
Sembra che, ogni giorno, mediamente siano 70.000 i pensieri che facciamo: tantissimi pensieri che sono come le impronte e le ombre che spaventavano il signore della storia precedente. Non possiamo mettere ordine in 70.000 pensieri con altri pensieri. Abbiamo bisogno di abbassare il numero di questi pensieri. Di lasciare più spazio tra un pensiero e l’altro e di lasciare che, in questo spazio, arrivi la nostra vera voce. È quella che abbiamo bisogno di ascoltare per toglierci dal dubbio, per sapere cosa fare, per dare una direzione alla nostra vita che non sia una direzione “ideale” ma insoddisfacente. Una direzione che ci assomigli. Vado a destra o vado a sinistra?, ripete la nostra mente. Segui la tua direzione risponde la nostra voce. E per seguire la nostra direzione, per ascoltare la nostra voce abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di alleggerire la selva dei 70.000 pensieri. La meditazione e la scrittura sono, in questo, due ottimi alleati che vanno nella stessa direzione della tua voce. Anzi, che ti permettono di ascoltare la tua voce e dare alla mente una direzione.
Scrivere la mente
Scrivere la mente non è scrivere i nostri pensieri ma scrivere la nostra vera voce e imparare ad avere fiducia della nostra vera voce. Moltissime volte infatti la nostra voce ci aveva avvertito, sapevamo quello che sarebbe successo ma non l’abbiamo ascoltata. Un po’ come Pinocchio con il Grillo parlante, a volte facciamo di tutto per tacitarla: la nostra vera voce è intensa e originale e non accetta di conformarsi ciecamente a degli standard. Per questo preferiamo zittirla, per poi, silenziosamente, tornare a cercarla.
La meditazione ci aiuta a togliere il rumore di superficie e ad andare in profondità. Scrivere senza pensare, dopo la pratica, ci permette di dare corpo a quello che abbiamo esplorato: senza giudizio e senza correzione. La nostra voce è un animale selvatico: si nasconde velocemente se iniziamo a correggerla. Ci porta aspetti di noi che teniamo reclusi e che, invece ,sono le nostre vere risorse, le nostre vere qualità che, per qualche ragione, abbiamo paura di ammettere.
Ho paura di scrivere
Scriviamo continuamente. Se c’è un regalo che la tecnologia ci ha fatto è che siamo tutti intenti a scrivere ogni giorno: messaggi, mail, whatsapp in cui ci sforziamo, per quanto possa sembrare strano, di mettere per scritto le nostre emozioni. A volte facciamo dei danni perchè lo facciamo impulsivamente, reattivamente. Eppure quando dico a qualcuno “scrivi qualche parola dopo la pratica, non occuparti della sintassi e nemmeno della grammatica. Semplicemente metti su carta le parole che emergono dalla pratica” molte persone mi rispondono, ma io non so scrivere. Qualcuno, sincero, mi dice “io ho paura di scrivere”.
La paura di scrivere, la paura della pagina bianca non è diversa dalla resistenza alla meditazione che incontriamo ogni giorno. Cosa ci spaventa? Cosa sta dietro questa paura? È la paura di ascoltarci, di ascoltare la nostra vera voce che, sempre, viene fuori quando facciamo silenzio, con la meditazione, con la scrittura. La questione qui non è essere uno scrittore, pubblicare un racconto. Il punto è che il semplice atto della scrittura ci fa guardare in profondità nella nostra mente e se nessuno ti ha detto di avere fiducia in quello che sta nella tua mente, te lo dico io. E con me tantissimi altri ti dicono “abbi fiducia in quello che sta nella tua mente. Impara a riconoscerlo e ad ascoltarlo” Ci hanno insegnato ad aver paura della nostra mente, ad evitarla come se fosse un nemico ed è questo che la trasforma in un nemico che fa danni all’improvviso. La mente è un nemico solo se la lasciamo incolta. Se la coltiviamo con la meditazione, con la scrittura, diventa il nostro più grande tesoro. il nostro vero tesoro.
Allora scopriremo che, anche se la nostra voce dice cose vaghe, diventerà più semplice scrivere una mail di lavoro, affrontare una difficoltà di relazione, perchè sapremo su cosa poggia la nostra vita. Sapremo dove siamo e dove vogliamo andare. Non saremo come barche alla deriva. Avremo un timone e anche nelle tempeste sapremo che quel timone ci appartiene. Se dovessi dire, in percentuale, quanto del nostro disagio emotivo deriva dal non dare ascolto alla nostra voce, direi che siamo al 60%. Il sessanta per cento dei nostri problemi deriva dal conflitto che viviamo tra fare quello che sentiamo e fare quello che pensiamo giusto. E quello che pensiamo giusto è, sempre di più, un ideale irrealizzabile.
Meditare senza pensare, scrivere senza pensare
Non meditiamo per svuotare la mente. Succede che, portando l’attenzione al respiro la mente si svuoti. Non lottiamo contro i pensieri. Succede che, non entrando in dialogo con i nostri pensieri, svaniscono. Non scriviamo i nostri pensieri, scriviamo senza pensare quello che emerge. Se lo facciamo regolarmente dopo 2/3 settimane ci accorgeremo che sarà più semplice sentire la nostra voce. Se meditiamo regolarmente scopriamo che, qua è là, diventa più facile ascoltare il suono della nostra voce, sia in meditazione che fuori della meditazione. Iniziamo a sentire più chiaramente qual è il nostro orientamento e non lo troviamo fuori ma dentro di noi.
La nostra testa è piena delle voci e dei pensieri degli altri: progressivamente ci liberiamo dagli invasori. Questo è l’aspetto terapeutico della meditazione e della scrittura. Ci permettono, entrambe, con poche semplici regole, di familiarizzare con la possibilità di essere continuamente diversi e sani. Lowen diceva che un Io sano è un Io che può distruggersi e ricostruirsi continuamente perché ogni esperienza lo cambia. Con la meditazione e la scrittura coltiviamo la capacità di stare nel cambiamento che ci attraversa costantemente: renderci rigidi e immutabili non arresta il passare del tempo, né il cambiamento che questo porta nella nostra vita. La rigidità ci rende più fragili, la flessibilità ci rende più vivi.
Fatti vivo, fatti sveglio
Passiamo tanta parte della nostra vita presi dentro una trappola di automatismo. Matrix – il film di qualche anno fa – ce lo ricordava. In questo automatismo in cui viviamo non siamo davvero vivi: stiamo solo sognando la vita che vorremmo avere. Abbiamo però la possibilità di farci vivi, di svegliarci. Di uscire dall’automatismo che non è solo abitudine ed efficenza. è anche ripetizione sempre dello stesso dolore, della stessa ferita. In Matrix Neo, il personaggio interpretato da Keanu Reeves, poteva scegliere se rimanere addormentato o svegliarsi. La scelta era tra la pillola rossa e la pillola blu. La pillola rossa è il Risveglio. La pillola Blu il sonno.
La meditazione, scrivere la mente ci permettono di svegliarsi, di farsi vivi nella nostra vita. Ci consentono di uscire dall’automatismo. Un automatismo che non mantiene la felicità che ci promette. Non siamo più sicuri se viviamo la nostra vita su un unico binario, che ripete all’infinito lo stesso percorso. Siamo solo addormentati e, a volte, il nostro sogno è un incubo che si ripete. Se ci svegliamo abbiamo la possibilità di essere vivi. Di sentire, a volte gioia, a volte dolore. Di essere sempre diversi e di gustare ogni cambiamento come una opportunità di apprendimento. Che pillola vuoi prendere? Vuoi dormire o farti vivo?
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