Mindfulness:56 giorni per la felicità
L’accettazione e la seconda freccia
Se non vediamo né accettiamo le cose per come sono, non sapremo mai come agire. Jon Kabat Zinn
Percorrere la strada del non sforzarsi è stato paradossalmente difficile. Sembrava che non sforzarsi fosse uno sforzo grandissimo. Ho scoperto così che ogni pensiero, anche piccolo, era dotato di una spinta propulsiva all’azione. Una specie di induzione allo sforzo, al dare il massimo che non aveva radici nella saggezza ma piuttosto in una spasmodica ricerca di sicurezza.
Nell’osservare, durante la pratica, quello che mi attraversava, più e più volte mi tornavano in mente le parole del Sallena Sutta: la prima freccia che ci colpisce è il dolore, la seconda freccia non viene scoccata dalla vita ma da noi stessi. La seconda freccia è la nostra reazione al dolore.
In fondo le due esperienze difficili che avevo incontrato mi avevano insegnato proprio questo: tanto difficile l’adolescenza, perché, al dolore degli eventi, sommavo la sofferenza che il rifiuto e la difficoltà ad accettare quello che accadeva, portavano nella vita. Tanto semplice la malattia perché avevo aperto la porta – quasi lieta – a quella vacanza fuori programma.
In fondo, a ben vedere, rischiavo molto di più nella malattia che nell’adolescenza, perché allora tanta difficoltà ad accettare?
La perdita delle illusioni
La difficoltà ad accettare nasceva dal fatto che le cose andavano diversamente da come mi aspettavo. E che avevo, nei confronti di quella aspettativa, un attaccamento di forza straordinaria, per il mio carattere. La malattia la incontro tutti giorni, so che è un evento della vita che non segue leggi certe. Democratica e impertinente compare e scompare insegnandoti un sacco di cose e ristabilendo un ordine che non ci appartiene ma del quale facciamo parte.
Le mie illusioni invece avevano una radice fortissima nell’abitudine a fare il meglio e sforzarsi. In fondo aveva sempre funzionato così: se volevo qualcosa mi impegnavo al massimo e l’ottenevo, rinforzando la mia fiducia nella relazione causa effetto. Rinforzando la mia determinazione teutonica e trasformando la mia vita in una sorta di svizzera.
La nostra vita è Svizzera,
così gelida e quieta –
finché càpita che qualche pomeriggio
le Alpi lascino aperti i sipari
e noi possiamo guardare di là!Dall’altra parte è Italia!
Intanto in mezzo come sentinelle
le Alpi maestose –
le Alpi sirene –
per sempre stanno all’erta! Emily Dickinson
Dovevo riconoscere una legge semplice ed essenziale: la determinazione limita la consapevolezza perché, per raggiungere – o illudersi di raggiungere – un obiettivo tutto ciò che è dissonante viene negato. In realtà quello che stava accadendo non era imprevedibile: avevo solo rifiutato i segnali che ne parlavano perché mi sembravano una interferenza.
Non mi restava che inchinarmi alla realtà e navigare nel mare del mio rifiuto sperando di approdare alla spiaggia dell’accettazione.
Accettazione e accoglienza
Una volta Chandra Candiani, poetessa italiana e praticante vipassana, disse ad una conferenza che per lei la parola accettare era troppo. Che c’erano delle cose, nella vita, che le era difficile accettare. Così nella sua pratica aveva inserito la parola accogliere. Diversa di una sfumatura sottile. E’ come dire ad un ospite inatteso, entra, prendi spazio nella mia casa, per la semplice ragione che sei già nella mia casa. Questa distinzione è stata per me illuminante. Era assurdo rifiutare qualcosa che era già lì con tutta la sua forza e potenza. Campeggiava nel soggiorno della mia anima. Potevo solo riconoscere che c’era e poi accettare – passaggio che mi ricordava certi bocconi della mia infanzia – il successivo e inevitabile cambiamento.
L’illusione è pensare che se ci ribelliamo quello che non accettiamo svanirà: è quasi sempre connessa ad una immagine della realtà che abbiamo costruito mentalmente e che è tanto verosimile da sembrare reale. Ci crediamo ciecamente. In questa situazione diventa quasi inevitabile provare una delusione che esprime la reazione alla discrepanza tra la realtà e quello che pensavamo. Spesso l’aggressività interviene a proteggerci proprio da questa discrepanza ed esprime il nostro attaccamento ad un’idea con la quale ci identifichiamo strettamente. Accogliere e accettare significa praticare la consapevolezza della realtà. E riconoscere con semplice, ma non facile sincerità, che i pensieri non sono fatti.
Tutti noi abbiamo un rilevatore di discrepanza, una specie di interruttore che rileva quanta distanza c’è tra le nostre aspettative e la realtà. Se ci diamo spazio possiamo evitare che il passaggio successivo sia una correzione. Possiamo attivare invece una esplorazione. Questo non preclude il cambiamento: lo rende più radicato nell’ampio panorama di ciò che è presente anziché nella ristrettezza della nostra volontà.
La sola cosa che non dimenticò mai fu come rifiutare. Tutte le correzioni di Enid erano state inutili. Era testardo come il giorno in cui l’aveva incontrato. E tuttavia quando morí, dopo averlo baciato sulla fronte ed essere uscita con Denise e Gary nella tiepida notte di primavera, Enid sentí che niente poteva più uccidere la sua speranza, niente. Aveva settantacinque anni e intendeva cambiare alcune cose nella sua vita. Jonathan Franzen Le correzioni
La vita è un’illusione?
L’idea filosofica che la vita sia un illusione può esserci piuttosto familiare ma in realtà ciò di cui sto parlando è piuttosto diverso. La vita in se non è illusoria. E’ il modo con cui percepiamo le cose che può esserlo e che può produrre sofferenza. Così il dolore è la prima freccia – è l’esperienza difficile che incontriamo tutti nella vita – la sofferenza invece è quella discrepanza tra ciò che eravamo convinti che fosse o che sarebbe stato, e la realtà.
La Locanda
L’essere umano è come una locanda.
Ogni mattina un nuovo arrivo.
Momenti di gioia, di depressione, di meschinità, a volte un lampo di consapevolezza giunge come un visitatore inatteso.
Dai loro il benvenuto e intrattienili tutti!
Anche se c’è una moltitudine di dolori,
che violentemente svuota la tua casa
portando via tutti i mobili,
tratta ugualmente ogni ospite con rispetto. Potrebbe aprirti a qualche nuova gioia.
I pensieri cupi, la vergogna, la malizia, Accoglili sulla porta con un sorriso,
ed invitali ad entrare.
Sii grato chiunque arrivi,
perché ognuno è stato mandato
dall’aldilà per farti da guida.
Gialal ad-Din Rumi
La solidificazione dell’esperienza
Nell’esplorare il mio rifiuto mi rendevo conto, ancora di più, della mia tendenza a solidificare l’esperienza. Non solo le idee diventavano fatti ma li ritenevo fatti immutabili. Uno stato sgradevole poteva così diventare una condanna a vita. Una difficoltà trasformarsi in una previsione. Nel rifiuto c’è una solidificazione sulla base di qualcosa che ci suscita disgusto, paura o rabbia. In questo modo però rendiamo l’esperienza negativa immobile mentre – se ci permettiamo di esplorarla – ne cogliamo la natura di fluidità e impermanenza.
La difficoltà ad accettare è spesso alimentata da una percezione di immobilità: la sensazione che quello che non ci piace rimarrà per sempre. Una tendenza nutrita dalla forza di identificazione con i nostri pensieri.
Praticare era proprio il sollievo della strada opposta: tornando alla percezione essenziale, momento per momento, si disgregavano le mie solidificazioni. Era qualcosa che avveniva senza che me ne accorgessi. Tornando alla percezione base, all’atomo percettivo, non solo davo spazio alla mia consapevolezza ma aprivo la strada alla dis-identificazione dai pensieri e dalle idee. Una strada che non mi accorgevo di percorrere se non a posteriori.
Il rilevatore di discrepanza
A quel punto anche il mio rilevatore di discrepanza poteva tornare utile: poteva servirmi per trasformare la mia agenda in un giardino anziché per perseguitarmi e tormentarmi con il rifiuto di ciò che stava avvenendo. Incominciare a usare il rilevatore di discrepanza per de-costruire fu divertente fino al paradosso. In genere era qualcosa che mi spingeva avanti. Adesso lo usavo per tornare alle cose essenziali. Non lo usavo per conformarmi ad una immagine ideale ma per tornare ai miei bisogni emotivi. E la sua lucida precisione era, finalmente, mia alleata.
In questo percorso a ritroso verso me stessa avveniva anche una strana esperienza. Man mano che mi rispettavo di più, il senso di mio, io, me diventava più flessibile. La bioenergetica e il suo invito a cedere diventavano una risposta: senza la contrazione muscolare prodotta dallo sforzo costante ero meno rigida nel cuore. Lasciando la tensione ero meno reattiva e arrabbiata alla base.
Si apriva un percorso bioenergetico di sapore completamente nuovo. Mi sentivo come una specie di Colombo: credevo di andare nelle Indie e invece avevo toccato una nuova terra. Che conoscevo ma che assumeva un significato diverso.
Accorgersi di essere cambiati
Molto spesso i pazienti mi dicono “Quanto sono cambiato!” con un misto di stupore e meraviglia. Perché sono cambiati ma se ne accorgono solo dopo. Questo vale un po’ per tutti e per tutto. Anche la tastiera del mio computer, sulla quale batto ogni mattina con impeto e passione, è ogni mattina diversa. Ma non lo vediamo.
Siamo sintonizzati a sentire i suoni ma non gli ultrasuoni.
Siamo capaci di sentire i grandi cambiamenti ma non i micro cambiamenti, ecco perché è tanto importante tornare al flusso percettivo: perché facilita i micro cambiamenti. I macro cambiamenti – quelli che decidiamo e portiamo avanti con la volontà – sono percepibili. Ma sono anch’essi fatti di quegli infinitesimi passaggi attimo per attimo. Poi un giorno, incontriamo noi stessi allo specchio. E se non riconosciamo chi siamo diventati, si apre la strada, spesso tortuosa, dell’accoglienza e dell’accettazione. Di ciò che è interno e di ciò che è esterno. O forse non c’è un confine così netto tra interno ed esterno. E’ lo stesso territorio, fittiziamente diviso per confini, per nazioni. In cui uguale e diverso sfumano al passaggio delle Alpi. Accettare e accogliere è non giudicare troppo presto quello che accade ma permettergli di mettere radici e di cambiarci. Lasciare – di nuovo – una sospensione dal giudizio e permettere di imparare dall’esperienza e non dalla teoria.
Apprendere dall’esperienza
Accogliere e accettare non è, in questa accezione, un processo di razionalizzazione: tutt’altro. E’ un esplorare ciò che accade al rallentatore e in profondità, per fargli posto nella nostra consapevolezza. Ci diamo la possibilità, come pratica dell’accoglienza, anche di esplorare il rifiuto. Perché la vera accezione dell’accettare e dell’accogliere non è semantica ma pratica. Accettiamo perché esploriamo l’esperienza. Non perché ci piace. Potrebbe anche non piacerci affatto ma se, anziché evitare di guardarla, la esploriamo abbiamo praticato l’accettazione. E abbiamo fatto il passo essenziale della mindfulness che è apprendere dall’esperienza, non dalle idee precostituite, non dagli stereotipi. Un passo che si accompagna ad un atto di amicizia nei nostri confronti che è davvero al di là del giudizio piacevole, spiacevole o neutro.
Lo accolgo, lo esploro e mi rendo disponibile ad imparare per il semplice fatto che è già presente nella mia vita e perché non c’è un altro luogo dove andare. C’è il luogo dove siamo.
Accettazione, fondamentalmente, significa comprendere come stanno le cose, trovare nuove modalità per avere una relazione saggia con esse e poi agire in modo appropriato, con una visione più chiara delle cose. Jon Kabat Zinn
Procedere per epifanie e non per storie
Questo apprendere dall’esperienza significa rinunciare ai significati precostituiti, quelli che forniscono la trama delle nostre storie. In cui spieghiamo – in genere abusando della relazione di causa effetto – che le cose sono andate così perché è successo questo e quello. Partiamo invece dall’epifania dell’esperienza percepita e le permettiamo di ridisegnare il panorama, ampliandolo fino a rendere quel singolo evento negativo uno degli elementi geografici di un paesaggio molto più ampio e vario. Questo rende possibile una straordinaria esperienza – condivisa da ogni viaggiatore – si può essere felici – o infelici – indipendentemente dalle circostanze. Nel mio primo viaggio in India, poco più che ventenne, rimasi folgorata da due semplici constatazioni, che credo moltissimi viaggiatori abbiano fatto: la povertà e la miseria in cui vivevano le persone e la loro apparente e inspiegabile felicità. Mi ritrovai durante un saptha (sette giorni di canti e meditazioni ininterrotti) in un ashram. Gli indiani erano ospitati in enormi tendoni e dormivano per terra o su rudimentali brandine, in luoghi affollatissimi e caldissimi. Per gli occidentali c’erano semplici bungalow con stanze a 5-8 letti e una pala di ventilatore al soffitto. La sequela di lamentele per l’alloggio da parte degli occidentali era schiacciata dall’assoluto silenzio sullo stesso argomento degli indiani. Questa differenza mi sembrò di più che una distanza culturale. Mi sembrò il segreto di una serenità che andavo cercando, e che non osavo ancora chiamare felicità.
Riesci a vedere che questo atteggiamento taglia fuori tutta una serie di possibilità per il presente e per il futuro? Riesci a vedere che questo ti porta a vivere la misera storia di te stesso nella quale puoi facilmente rimanere intrappolato? (…)Immagina invece di vivere semplicemente questo momento, quello in cui sei, e di essere consapevole di tutte le esperienze che vivi comprese quelle dolorose. Riesci a vedere che la storia non è più così misera, limitata, immutabile? Jon Kabat Zinn
La mindfulness, nel suo andare al di là delle storie, è stata un alleato prezioso. Mi ha insegnato a smettere di alimentare le emozioni con le mie storie. Mi ha insegnato ad andare al di là della prima impressione e mi ha dato la possibilità di considerare il negativo, altrettanto degno di interesse, attenzione e curiosità di quello che, apparentemente sembra positivo. Ho imparato che se provo curiosità per una reazione emotiva – qualunque essa sia – se posso esplorarla come energia, come sensazione libera da interpretazioni, le restituisco la sua vera durata e la sua vera natura. Se la rifiuto invece la congelo e la lascio rimanere a lungo in circolo nella mente e nel cuore.
Metti in circolo il tuo amore
La seconda freccia, la freccia della sofferenza, non viene dalla sensazione scomoda, viene dal continuare a rinforzare l’avversione o dall’aggrapparsi ad un risultato definito, viene dalle conversazioni interiori, dai giudizi e dalle classificazioni verso quello che accade. Ma se praticando mi fermo a riconoscere quello che c’è, non solo rimetto in circolo l’amore per l’esperienza ma indebolisco la vecchia abitudine a reagire e a punirmi con la seconda freccia. La domanda allora non è più “Come posso evitare che questo accada” ma piuttosto “Come posso imparare a riconoscere i tanti modi con cui scocco delle frecce contro di me e contro la mia vita?” ,”Come trovo un po’ di senso dell’umorismo e di dolcezza, per accogliere quello che sta succedendo?”. Così, anziché diventare sempre più abile ad evitare, prevenire, lavorando contro il presente, provo ad usare il presente come un alleato. Anziché dividermi in due, in una parte che rifiuta e giudica e in un’altra che si sforza di andare avanti, rimango una, intera. E i mie graffi e le mie ammaccature diventano quelle fratture che mi hanno aperto una prospettiva nuova sulle cose.
Quello che ho imparato penso valga anche per te: prova interesse per il tuo dolore e la tua paura. Avvicinati, entraci, incuriosisciti; anche solo per un istante, fai esperienza delle sensazioni al di là delle etichette, al di là dei concetti di bene e di male. Accoglile. Invitale. Fai qualsiasi cosa ti aiuti a sciogliere la resistenza. La prossima volta che ti scoraggi e non riesci a sopportare quello che senti puoi ricordarti questo insegnamento: cambia il modo di vederlo ed entraci. Pema Chodron
© Nicoletta Cinotti 2015
Questo capitolo è un estratto di Destinazione mindfulness 56 giorni per la felicità acquistabile – come ebook cliccando sulle parole in azzurro
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Genova, ll protocollo MBSR (Clicca sulle parole in grassetto per andare alla scheda evento) inizierà a Genova il 16 Ottobre 2017 alle 19,30.
Ritiro di settembre: Verso un’accettazione radicale 8 – 10 Settembre 2017
Sede di Genova: Via I. Frugoni 15/2
Sede di Chiavari: Via Martiri della liberazione 67/1
Foto di ©prima_stella, ©car.lo’s, ©deen, ©rita vita finzi, ©Amersill © Valentina Blasi
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