Il protocollo MBCT
L’approccio Mindfulness può essere definito in tanti modi ma non credo di sbagliare se dico che parte dalla considerazione che tutti noi, pazienti e curanti, ci troviamo spesso a condividere la medesima situazione: siamo invasi da un flusso di pensieri ed emozioni relative al passato, al presente e al futuro, perdendo la vividezza dell’esperienza vissuta in prima persona, nell’attimo presente della propria vita.
Per lavorare su questo aspetto, istruttori e partecipanti ai protocolli Mindfulness based vengono guidati a migliorare la loro generale abilità di controllo dell’attenzione e della consapevolezza, piuttosto che entrare nel contenuto dei loro pensieri.
Questo sostiene la capacità di notare prima possibili i segnali della ripetizione delle nostre modalità disfunzionali di regolazione emotiva e la capacità di decentrarsi rispetto ai pensieri negativi, attivando modalità di risposta che, progressivamente, indeboliscano il ripetersi di questi affetti negativi.
Lavorare sull’attenzione, con attenzione
L’importanza specifica che riveste la padronanza dei processi attentivi, non può essere sottovalutata per le conseguenze positive che comporta. Riassumibili in tre elementi: a) aumento della consapevolezza delle oscillazioni dell’umore, b)decremento delle risorse mentali occupate dalla ruminazione, c) dis-identificazione dai modelli mentali automatici.
Ma non è solo attenzione
Benché il ruolo dell’attenzione sia così dominante, la vera unicità della Mindfulness è un ‘altra: è lo sviluppo della capacità di “essere con ciò che accade” indipendentemente dal fatto che ciò che accade sia piacevole, spiacevole o neutro. Questo significa portare alla consapevolezza le esperienze del mondo interno, senza trattarle immediatamente come “problemi da risolvere”.
Le menti funzionano il modo simile
A questa novità clinica – lavorare sull’accettazione anziché sulla soluzione – se ne aggiunge un altra. Poiché la mente di tutti noi funziona sulla base degli stessi presupposti, il fatto che il partecipante al protocollo MBCT comprenda che l’istruttore conosce per esperienza diretta le sue stesse difficoltà, inserisce un elemento “nuovo e rivoluzionario”. Ossia l’elemento della condivisione che diventa un aspetto integrante del processo in corso.Per citare gli ideatori del protocollo “le diverse menti funzionano in modo simile e non c’è ragione di discriminare tra la mente di chi chiede di essere aiutato e quella di chi offre aiuto”. Un aspetto essenziale della Mindfulness diventa così la possibilità che il conduttore incarni la Mindfulness nell’interazione con il gruppo. I partecipanti ai protocolli imparano così la Mindfulness attraverso due esperienze: la pratica personale e la risonanza con il conduttore del protocollo.
Cosa significa decentrarsi
Il termine decentrarsi acquista, nei protocolli Mindfulness, e in particolare nel protocollo MBCT, un significato specifico: significa dare il benvenuto ai pensieri e ai sentimenti che si presentano e lasciare che ci siano, incoraggiando un atteggiamento di apertura, disponibilità e dolcezza verso tutte le esperienze. È evidente che questo è un vero ribaltamento rispetto a quello che facciamo di solito. Tendenzialmente ci mettiamo nella condizione di evitare situazioni che possano produrre sofferenza. Questa modalità di evitamento ha una riuscita buona sul momento ma pessima nel tempo. Intanto diventa sempre più difficile trovare situazioni che non ci producano il tipo di sofferenza che intendiamo evitare, secondariamente questo evitamento comporta anche una riduzione delle esperienze,e, quindi, delle risorse. Il decentramento Mindfulness implica l’accogliere e lasciar essere e non si limita ai pensieri ma si estende alle sensazioni fisiche ed emotive.
Abbandonare l’idea della risoluzione
Se troviamo una soluzione che funziona siamo tutti felici. Se la risoluzione del problema è l’obiettivo principale però si struttura l’idea che i problemi sono il nemico e che la felicità sia la soluzione, aumentando così il ricorso ai processi ruminativi. Nei protocolli Mindfulness la risposta “giusta” comporta lo sviluppo di un atteggiamento non reattivo che permetta di cogliere tutta la complessità degli aspetti coinvolti nel problema, in modo che, se necessario, la soluzione nasca dopo aver affrontato adeguatamente e non reattivamente, la situazione, e dopo aver considerato l’interazione di tutti gli elementi presenti. Cosa che non può accadere se entriamo velocemente in una modalità “risolutiva” ,come succede se corriamo alla soluzione.
Lottare contro
Lottare contro pensieri, sentimenti e sensazioni fisiche indesiderate può aggravare la tensione, così come agire impulsivamente raramente porta a “buone azioni”. Per questo la consapevolezza corporea ha un ruolo centrale: permette infatti di comprendere come pensieri e sentimenti si esprimano nel corpo e offre un ancoraggio quando il mare dei pensieri o delle emozioni è troppo tempestoso.
Gli “abiti” mentali: cambiare vestito
Al cuore della depressione e di molti disturbi psichici sta un’idea semplice quanto pericolosa:” il mio Sé è difettoso, privo di valore, indegno e va riparato. I pensieri negativi sono un’espressione della mia realtà e del mio tentativo di ripararmi e trovare una soluzione”
Questa affermazione è pericolosa sotto tanti punti di vista:
1) parte da un’idea “difettiva” di se stessi,
2) lega questa idea difettiva ad un obiettivo altamente “desiderabile”,
3) presuppone strategie che, partendo da un assunto patologico – il difetto – tendono a replicarlo.
I vecchi abiti mentali sono dannosi perché ci fanno pensare, credendo che questa sia l’unica strada per la soluzione, e tengono acceso il nostro “rilevatore di discrepanza” un processo che valuta il nostro Se sulla base della realizzazione delle nostre aspettative. Se si realizza l’aspettativa andiamo bene, altrimenti siamo oggetti rotti, graffiati, da riparare.
Cambiare abito, cambiare la mente
Il nostro funzionamento mentale è frutto di un continuo scambio informativo tra diverse parti: sensazioni fisiche, emotive e pensieri, umore e salute, età e condizione sociale contribuiscono al sentimento di fondo e al nostro funzionamento mentale. Detto questo le nostre modalità di funzionamento rientrano tra due “armadi” mentali che possono raggruppare tanti abiti: l’armadio del fare e l’armadio dell’essere
La modalità del fare
Questa modalità è attivata dal nostro rilevatore di discrepanza. Quando troviamo una discrepanza tra la nostra aspettativa e la realtà, si attiva un sentimento avversativo – dolore, rabbia o paura – e iniziamo a fare delle cose che riducano questa discrepanza. Continuiamo ad agire fino a che la discrepanza non si è sanata: tutto bene se è qualcosa di riparabile. Purtroppo molte delle nostre discrepanze non sono riparabili: o perché non dipendono da noi o perché sono più complesse di come sembra. Questo sistema quindi funziona bene per molte cose ma non per tutto e quando non funzione produce una proliferazione mentale legata alla ricerca di una migliore soluzione. La mente si concentra sul divario e sul momento in cui non ci sarà più e stacca l’attenzione dal presente e dall’esperienza percepita per coinvolgersi interamente nella ricerca di soluzioni. Insomma questo sistema è ottimo se viene usato per cose appropriate, disastroso se viene usato per la nostra ricerca della felicità perché riduce la percezione del presente ad un’area molto ristretta, ossia all’area dei successi o fallimenti, perdendo lo “splendore multidimensionale della vita”.
La modalità dell’essere
Questa modalità non è connessa al raggiungimento di particolari obiettivi e il focus dell’attenzione è rivolto all’accettazione e al lasciar essere, senza pressioni dirette per modificare la realtà. Una differenza importante tra la modalità essere e quella del fare sta nella percezione del tempo. Nella modalità fare il tempo è finalizzato al risultato, nella modalità essere, alla percezione momento per momento.
Mentre la modalità del fare sostiene i processi di pensiero, la modalità dell’essere sostiene la relazione con i pensieri e le emozioni, sottolineandone la loro natura impermanente. Perché intervenire per cercare soluzioni immediate a qualcosa che passerà autonomamente tra poco? Non si rischia così di tenerlo molto più tempo nella nostra attenzione? Credo proprio di si!
Questa modalità comporta lo sviluppo di una maggiore tolleranza degli stati mentali spiacevoli ed è sensibile alla ricchezza e complessità della vita.
L’abilità centrale
L’abilità centrale che la terapia Mindfulness offre è quella di passare dall’attenzione al contenuto, all’attenzione al processo attraverso due strumenti semplici e sempre a nostra disposizione: attenzione e consapevolezza. Il percorso inizia e finisce nello stesso punto. Siamo partiti dal ruolo dell’attenzione e della consapevolezza e qui concludiamo questa mappa del percorso Mindfulness nella terapia.
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