Lo sviluppo della capacità di praticare informalmente è uno degli obiettivi principali di tutti i programmi mindfulness based (MBSR,MSC, MBCT). Perché questo possa avvenire è necessario che la pratica formale sia, anche se breve, consolidata. In questo modo, nei momenti in cui arriva l’onda del disagio, della fatica, dello stress, possiamo agevolmente rifugiarci nella pratica informale.
Pratica formale e informale, costruiscono così una sorta di intreccio reciproco simile a tante delle polarità della nostra vita: il vuoto e il pieno, la quiete e la tempesta, la notte e il giorno…
Quelle che presento sono alcune delle pratiche informali che richiedono una buona consapevolezza e padronanza di sè e che, per questa ragione, presento come advanced.
Minding the pain
Quando proviamo un dolore, fisico o emotivo che sia, molto spesso abbiamo una reazione istintiva per rimuoverlo o evitarlo. In quel momento, nel momento in cui il dolore entra nel nostro campo percettivo, abbiamo anche la possibilità di portare l’attenzione a come stiamo rispondendo alla situazione nel corpo. Quali tensioni, contrazioni si attivano? Quali aree spariscono dalla nostra consapevolezza? Ci è possibile lasciare andare le tensioni e ammorbidirle? Ci è possibile seguire il fluire della percezione senza aggiungere nuove contrazioni?
Un buon uso di questa pratica informale potrebbe essere, nel corso della settimana, portare ripetutamente l’attenzione alle sensazioni fisiche, con una mente da principiante, piena di curiosità e interesse, cullando la propria consapevolezza e lasciando andare ciò che è possibile lasciar andare. Guardiamo se possiamo stare con la nostra esperienza senza giudicarla e senza resistenza. Possiamo mettere sul nostro salvaschermo una frase” Come sono nel corpo?” che scorrendo ad intervalli regolari, ci aiuti a praticare.
Se il dolore di cui ci occupiamo è un dolore emotivo è bene ricordare che abbiamo molte – e molto più raffinate – barriere alla sua percezione. Questi ostacoli alla consapevolezza sono i più svariati ma può essere utile raccoglierli in 4 categorie.
- La svalutazione: spesso ci diciamo che non dobbiamo provare quello che proviamo, che sia ansia, depressione, paura o altro ancora. Questa svalutazione è sottile e ci porta a valutare continuamente l’adeguatezza di ciò che proviamo. Quando ci accorgiamo di farlo, potremmo semplicemente ricordarci che le emozioni sono strumenti di informazione sul nostro mondo interno, sempre adeguati. Non riteniamo una stazione metereologica inadeguata perchè prevede brutto tempo…lo stesso vale per le nostre emozioni che ci comunicano il nostro clima interiore. Altro è,invece, identificarsi totalmente con l’emozione che sperimentiamo e agirla come se fosse un dettame divino….ma questo credo che sia ormai chiaro.
- Confondere i pensieri con le emozioni: questo aspetto è strettamente connesso al primo. Proprio perché giudichiamo le nostre emozioni adeguate o inadeguate, tendiamo a nasconderle dietro i nostri pensieri, o dentro i nostri pensieri. In questo modo, le convalidiamo con la ragione, spesso costruendo un temibile teorema sul mondo e sulle cose del mondo. Facciamo un piccolo esempio: quando diciamo “mi sento stupido”, questo è un pensiero o la sensazione di vergogna e inadeguatezza?
- L’intangibile realtà delle emozioni: le nostre emozioni fanno parte di uno scenario interno. Abbiamo imparato a dare loro nome attraverso la relazione con altri significativi:genitori, amici, amanti. Ma solo noi possiamo dire davvero cosa stiamo provando.
- Il vocabolario: spesso non abbiamo le parole per descrivere quello che proviamo. Ecco perchè uso spesso le poesie. La poesia ci aiuta a sentirci capiti e ci fornisce un vocabolario per le nostre esperienze.
I suoni
E’ molto difficile eliminare un suono che è entrato nel nostro campo percettivo. I suoni sono così, strumenti eccezionali per focalizzare l’attenzione: mutano continuamente, esistono solo nel presente, sono costruiti da suono e pause di silenzio e, molto spesso, non possiamo sapere prima la loro evoluzione. Portare l’attenzione ai suoni che entrano nel nostro campo percettivo può essere un aiuto semplice ma efficace. Possiamo approfittare del suono delle campane, e prendere quello spazio per fermarci e prestare attenzione.
Le abitudini
Sia che lo vogliamo che non, siamo costruiti dalle nostre abitudini e questo non è necessariamente una cattiva cosa. Le abitudini possono renderci più leggeri alcuni compiti e altri possono scorrere meglio se li trasformiamo in abitudini.
Nello stesso tempo corriamo il rischio di trasformare le abitudini in un allenamento del “pilota automatico”: ossia cose che facciamo senza essere veramente presenti e, come sappiamo, alla lunga può diventare pericoloso. Il pilota automatico può portarci anche ad innescare catene di reazioni non necessarie o addirittura dannose.Attraverso le nostre abitudini possiamo creare delle limitazioni non necessarie. Così una buona pratica informale può essere quella di passare un po’ di tempo nell’esplorazione di una delle nostre abitudini. Cosa ci succede mentre ripetiamo? Ci sono pensieri o emozioni nascoste? come ci sentiamo nel corpo? Come ci sentiamo se cambiamo qualche elemento della nostra abitudine?
Ascolto mindful
Quando qualcuno ci parla sappiamo che dobbiamo tacere. ma come impieghiamo il tempo dell’ascolto? Stiamo solo aspettando il nostro turno? Stiamo preparando una risposta intelligente? O stiamo veramente ascoltando?
la prossima volta che ci troviamo nella situazione di ascoltare qualcuno, proviamo a farlo davvero. Facciamolo riportando l’attenzione, ogni volta che la mente si distrae e si allontana dall’ascolto. Guardiamo se possiamo avere uno spazio interiore per accogliere quello che l’altro sta dicendo, uno spazio in cui sperimentare intimità, connessione e condivisione. Se prestiamo attenzione a ciò che ci viene detto possiamo trovare più cose di quello che succede di solito. E quando la persona ha finito di parlare possiamo prendere un respiro prima di rispondere. Questa pratica informale non richiede perfezione: richiede gentilezza nei confronti di se stessi ogni volta che ci troviamo a vagare. Richiede compassione per quello che può emergere dentro di noi. Richiede PAUSA, (STOP) e APRI (RAIN).
A cura di Nicoletta Cinotti 2015
Lascia un commento