Come esseri umani noi nasciamo con limitate capacità di autoregolazione: dipendiamo dalla regolazione interattiva dei nostri caregivers per il sonno, il cibo, il calore e per riuscire a mantenere il nostro stato di attivazione all’interno della nostra finestra di tolleranza.
Buone o cattive che siano, le nostre relazioni primarie ci offrono il contesto entro il quale crescere e svilupparci. Le nostre abilità di comunicazione sociale nascono insieme a noi, con tutto il repertoire di espressioni facciali, suoni, pianti, movimenti di agio e disagio che i neonati mostrano per dirigere l’attenzione del caregiver verso i loro bisogni. Queste espressioni del viso facilitano l’interazione sociale e costruiscono la base del nostro sistema di coinvolgimento relazionale. L’attivazione di questo sistema conduce a sperimentare una sensazione di sicurezza e aiuta il bambino a rimanere in una finestra di attivazione ottimale.
Il corpo e le relazioni sociali
Il sistema di relazione sociale è costruito inizialmente su una serie di interazioni viso a viso e corpo con corpo e successivamente si sviluppa sulla base delle esperienze di sintonizzazione e rottura e riparazione. Tutte esperienze in cui, ai bisogni del bambino, viene data una risposta attraverso il movimento e il contatto, più che attraverso le parole. Su queste esperienze si fonda la strutturazione di una capacità di autoregolazione che cresce di pari passo con un nascente senso di Sé. Le prime sensazioni, all’inizio della nostra vita, sono tattili e fisiologiche e man mano che passano i giorni subentrano quelle visive e uditive. Questi elementi non verbali sono la base sulla quale sviluppiamo non solo il nostro senso di Sé, ma anche il nostro senso di Sè con gli altri. Spesso gli elementi non verbali sono anche i primi indicatori, da adulto, della sensazione di pericolo o paura che sperimentiamo e svolgono un ruolo fondamentale anche nella costruzione dell’alleanza terapeutica.
Calmare o stimolare
Il ruolo del caregiver inizialmente è, in modo prevalente, quello di calmare o stimolare il bambino perché si trovi in un livello ottimale di attivazione e svolge questa funzione in maniera primariamente corporea: può cullare, abbracciare o stimolare il risveglio, accarezzare o massaggiare per sedare il dolore, mostrando quanto sia importante una adeguata sensibilità fisica all’effetto che il contatto esercita sul bambino.
Proprio perché i bisogni primari sono espressi e soddisfatti attraverso cure corporee, la capacità di risonanza corporea del caregiver non è indifferente nella cura primaria. Un caregiver a disagio con il proprio corpo o con una scarsa consapevolezza corporea e capacità di risonanza emotiva, parte svantaggiato rispetto alla possibilità di trovare strumenti efficaci di regolazione emotiva.
Un ambiente che sostiene
Bion descriveva con la parola contenimento questa primitiva capacità materna che permette lo sviluppo dell’autoregolazione. Winnicott parlava di “Holding” come ambiente supportivo che promuovesse la salute mentale del bambino. La capacità di holding e contenimento esprimono sia la capacità materna di essere sensibile rispetto alla mente in formazione del piccolo, sia la sensibilità a rispondere agli stati affettivi e fisiologici. Questo dialogo “corpo a corpo” e “mente a mente” produce una sincronicità di scambio, durante il quale la risposta della madre e la risposta del bambino rappresentano quel passaggio di informazioni che rendono possibile il processo di stimolazione o consolazione e l’esplorazione e l’apertura verso il mondo. Questo dialogo, perché sia adeguato, richiede un continuo riaggiustamento a nuove esigenze che nascono in risposta alla maturazione e al cambiamento, rassicurando il bambino sul fatto che si trova in un ambiente sicuro e nutriente per il suo sviluppo.
Il ruolo degli affetti positivi
L’esperienza di essere nella finestra ottimale di tolleranza si accompagna con uno stato ottimale di consapevolezza e con la presenza di affetti positivi. Durante il gioco madre e bambino hanno una sincronia di accelerazione e decelerazione del battito cardiaco e della risposta parasimpatica: risposte mediate, per entrambi, dall’attivazione del sistema nervoso autonomo. Gli affetti positivi insegnano al bambino a tollerare stati crescenti di attivazione e lo incoraggiano all’esplorazione dell’ambiente fisico ed emotivo. La regolazione degli affetti così, non è solo una riduzione dell’intensità emotiva ma è anche un addolcire, attraverso i momenti di gioco e gli affetti positivi, l’impatto delle emozioni negative. Quando il range della nostra finestra di tolleranza è ridotto, passare attraverso le emozioni positive può essere un modo efficace di ampliare la nostra tolleranza e di restituire vitalità al nostro corpo. la gioia che avviene dopo una separazione è una buona espressione di come, inevitabilmente, il nostro modo di sperimentarci, vibra con la presenza dell’altro, dalla nascita – e anche prima – in poi. “Il processo di ri-sperimentare affetti positivi dopo una esperienza negativa, può insegnare ad un bambino che la negatività può essere superata e padroneggiata”(Schore, 2003,143) Una frase che, credo, si adatta a tutti noi.
Consapevolezza corporea e regolazione interattiva
E’ per questa ragione che, se vogliamo ampliare il range della nostra consapevolezza corporea, la strada da percorrere, non può essere solo quella di lavorare sulla consapevolezza del proprio corpo: è necessario avventurarsi anche nel territorio di come rispondiamo al corpo degli altri. Il territorio della consapevolezza, infatti, è costituito dai processi percettivi corporei, come dalla sensibilità alle emozioni e dalla nostra modalità di essere insieme con gli altri. Una storia che nasce, dalla nostra nascita e prosegue per tutta la vita. Spesso tagliamo proprio la consapevolezza dei nostri stati fisici e affettivi, in risposta all’altro: un mezzo rapido ma improprio per definirsi.
A cura di Nicoletta Cinotti
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