Queste due domande, apparentemente banali, sono il cuore del cuore della analisi bioenergetica e affondano le loro radici nelle osservazioni condotte da Wilhelm Reich sui movimenti primari delle amebe.
I movimenti di base
Le amebe, organismi semplici che possono raggiungere anche notevoli dimensioni, permettono l’osservazione chiara, del movimento primario: in condizioni favorevoli si muovono, mentre in condizioni avverse si ritirano, tanto che a volte, possono rimanere in uno stato di ritiro anche per lunghissimi periodi di tempo.
Questi due movimenti base – l’espansione e il ritiro- sono i movimenti spontanei di un neonato. Il neonato compie prevalentemente gesti di protensione verso l’ambiente – piange per richiamare l’attenzione, muove le mani per raggiungere, ruota la testa per esplorare l’ambiente. A questi gesti di protensione alterna movimenti di ritiro in cui dorme o mantiene uno stato di coscienza poco interattivo. L’alternanza di protensione e ritiro è fondamentale per imparare nuove cose e consolidare, attraverso il riposo, ciò che ha imparato.
“Muoversi verso” e ritirarsi
Questi stessi movimenti, di protensione e ritiro, sono alla base del linguaggio del corpo in analisi bioenergetica e qualificano i nostri processi di autoregolazione e regolazione interattiva. Quando ci ritiriamo, entriamo in riposo. Ciò che ci tiene in vita e ci permette di crescere e imparare però non è il ritiro ma l’apertura e la ricerca di contatto. In questo modo espandiamo le nostre esperienze e il nostro universo di significati. Il bambino è, prima di ogni cosa, alla ricerca di questo contatto, come ci ricordano gli esperimenti sulle scimmie di Harlow.
Il legame costruito dal contatto
La vecchia idea che sia la ricerca di cibo che costruisce il legame madre-bambino fu definitivamente scossa da un esperimento condotto negli anni 50 da Harlow con degli scimpanzé. I cuccioli di scimpanzé, posti in una gabbia con due pupazzi materni, uno con cibo e l’altro con pelliccia e arti accoglienti, passavano tutto il tempo tra le braccia della madre sprovvista di cibo ma fornita di calore e andavano dall’altra “madre” solo per il tempo strettamente necessario alla nutrizione. Una conferma che la costruzione del legame passa dalla ricerca di contatto e sicurezza più che dal bisogno di alimentarsi.
Autoregolazione e regolazione relazionale
Ma cos’è che spinge a muoversi verso l’altro, cosa motiva la nostra ricerca di contatto? Le ragioni , come afferma la teoria della regolazione degli affetti, sono essenzialmente due: crescere, attribuendo significato alle cose del mondo e confortarci o attivarci, cioè trovare un modo per regolare le nostre emozioni.
Alla nascita la nostra capacità di autoregolazione è limitata e dipendiamo dagli altri per la maggior parte del tempo. Ma questa dipendenza, attraverso i momenti di riposo, di ritiro riparativo e di relazione, strutturano nuove e sempre più complesse capacità di stare al mondo e amplia la nostra capacita di autoregolazione.
Cosa c’entrano i gesti e il movimento?
Questa ricerca dell’altro per la regolazione interattiva è sempre, e non potrebbe che essere così, mediata dai movimenti verso, da quell’infinita serie di gesti, grandi e piccoli, attraverso i quali esprimiamo il nostro antico desiderio di compagnia. Gesti che rimangono scritti nel nostro corpo e ripetuti ogni giorno. Gesti che strutturano il nostro carattere e il nostro modo di dare significato a noi stessi e al mondo. Gesti che rimangono, come tracce di memoria, in ogni movimento di avvicinamento e di allontanamento.
I movimenti spontanei
Questi gesti si esprimono attraverso i nostri movimenti spontanei e spesso sono al di fuori della consapevolezza. Sono gesti espressivi del nostro umore e del nostro desiderio o della nostra paura di compagnia. Sono gesti essenziali che esprimono lo stato di benessere/malessere, il calore o la freddezza, la solitudine o la condivisione, la paura o l’amore. Riportare questi gesti alla consapevolezza permette di entrare da protagonisti nella nostra vita e nella storia della nostra vita. Sono gesti che desiderano tempo, attenzione e sensibilità come la cura che si ha per un neonato. Per questo ogni classe può essere una poesia o essere accompagnata da una poesia: perché il corpo ha bisogno del tempo lento del respiro, delle parole gentili di una poesia, per cedere e ritrovare la spontaneità della propria esistenza.
Grounding e relazione.
Una delle esperienze corporee in cui autoregolazione e regolazione interattiva si integrano in maniera simbolica e reale è l’esperienza del grounding. Grounding significa radicarsi a terra, nella realtà e sviluppare la capacità di stare sulle proprie gambe. Nello stesso tempo è impensabile immaginare un bambino che inizi a camminare senza avere qualcuno, che ama, da raggiungere. In questo senso, ciò che ci tiene appesi non è solo una ragione autoregolatoria o difensiva ma anche una ragione relazionale. Ecco perché il senso della classe è il contesto di gruppo: perché il corpo integra l’autoregolazione in un contesto relazionale. Un corpo senza altri corpi con cui entrare in relazione, perde senso e scopo di vivere, come ricordano le ricerche post belliche di Spitz sui bambini in orfanotrofio.
Leggere i movimenti spontanei
È nel contesto relazionale allargato che i movimenti spontanei vengono attivati e che si frangono nelle nostre contratture difensive originando l’esperienza delle emozioni che sono rimaste trattenute nell’incontro con l’altro. Per questo spesso l’emozione della vergogna e dell’imbarazzo emerge nel lavoro corporeo. Un segno che siamo più consapevoli dello sguardo dell’altro che della nostra percezione di noi.
Il senso degli esercizi bioenergetici
Gli esercizi della classe recuperano i movimenti spontanei della nostra infanzia, le parole di base della formazione della nostra personalità – No, Io, Basta – parole che forse oggi non ricordiamo più ma che possiamo facilmente ascoltare dai nostri bambini piccoli e piccolissimi. Non è un modo per scatenare il bambino prepotente che è in noi: è piuttosto un modo per lasciare che il nostro movimento recuperi quella forza e quell’autenticità che, per molti di noi, è rimasta prigioniera della nostra infanzia.
A cura di © Nicoletta Cinotti
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