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Il tema del perfezionismo e la cura attraverso la consapevolezza sono profondamente intrecciati. Ecco come lo affronta Jon Kabat Zinn…
Quando nella mente vi nasce il pensiero e la domanda «Sto facendo giusto?» e genera dubbio e confusione c’è un’altra risposta da dare, una risposta che proviene dalla natura non strumentale della pratica meditativa, dal fatto che la meditazione non consiste nell’andare da qualche altra parte ma semplicemente nell’essere dove vi trovate già e saperlo. Da questo punto di vista, se rimanete nella consapevolezza state andando bene qualunque cosa proviate, che sia piacevole spiacevole o neutra. Se vi annoiate e ne siete consapevoli state andando bene. Se siete spaventati e lo riconoscete, state andando bene. Se siete confusi e lo sapete, state andando bene.
Se siete depressi e lo sapete, state andando bene. Se di colpo prendete consapevolezza che la vostra fabbrica dei pensieri non chiude mai per ferie e invece di lasciarvi trascinare nell’agitazione riuscite a «essere la conoscenza stessa», allora state andando bene. E se di fatto siete travolti dall’agitazione e dalla proliferazione dei pensieri e dalla loro fabbricazione e dal fragore di cascata della mente pensante e ne siete consapevoli, e riuscite a «essere quella conoscenza» in quel momento, allora state andando bene.
Di fatto non c’è niente che possiate fare o che vi possa capitare che non possa far parte della pratica a buon diritto, se ne siete consapevoli e riuscite ad abbandonarvi alla fiducia e a dimorare nella consapevolezza invece di restare perennemente intrappolati nella turbolenza, nell’agitazione, nell’attaccamento, nel desiderio, nel rifiuto di tutto ciò che si presenta” Jon Kabat Zinn, Riprendere i sensi
La maggior parte di noi ha le idee molto chiare sul modo giusto di comportarsi: tuttavia se alcuni standard di comportamento sono utili, altri possono addirittura essere dannosi.Certamente occorre capire quanto gli standard che ci proponiamo siano ragionevoli e adeguati ai nostri obiettivi generali. Ciononostante, tanto più sono rigide le nostre convinzioni, tanto più rischiamo di trasformare anche una attività legata all’essere, come la meditazione mindfulness, un compito gravoso e sfidante.
E’ possibile, insomma, che diventi più una espressione del nostro perfezionismo che un atto di cura nei confronti di noi stessi.
Cos’è il perfezionismo
Il perfezionismo è l’esasperazione di un atteggiamento di severità interiore che diventa la spinta ad aumentare, senza riposo, lo standard di rendimento in particolari aree della nostra vita. Raramente siamo perfezionisti in tutto. Spesso però se siamo dei perfezionisti, iniziare un nuovo compito, o avere un cambiamento professionale o personale, può scatenare delle risposte di tipo perfezionistico: che possono riguardare l’aspetto fisico (avere un particolare peso o una particolare forma fisica), l’aspetto professionale o relazionale (avere un certo standard di risultato) oppure l’ordine e l’organizzazione della nostra vita.
Come si diventa perfezionisti
Ci sono alcune esperienze di apprendimento che possono indurre atteggiamenti perfezionistici. Queste esperienze sono la punizione, la ricompensa e il rinforzo. Insomma le tre basi degli strumenti educativi comunemente usati! Facciamo un esempio: normalmente siamo incoraggiati ad avere un impegno serio e costante e riceviamo molto riconoscimento sociale per i nostri risultati e per la nostra apparenza fisica. E’ possibile che aver ricevuto più volte premi per il proprio impegno abbia, come effetto collaterale, quello di convincersi che, in mancanza di standard elevati saremmo rifiutati. Non è un dato di realtà – anche perché evitiamo accuratamente di correre rischi – ma può diventare una convinzione errata alla quale rimaniamo fortemente fedeli.
E’ possibile anche che ci sia capitato di venir puniti per aver commesso un errore e questo spesso spinge a credere che sia importante non commettere errori. Un bambino che venga spesso rimproverato quando fa cose sbagliate può arrivare alla convinzione che sia importante non sbagliare mai. In definitiva lode e rimprovero sono due modalità educative fortemente legate al giudizio e, se usate regolarmente, rendono la nostra autovalutazione di secondaria importanza rispetto alla valutazione che riceviamo dall’esterno.
“La consapevolezza di ognuno è uno spazio davvero ampio nel quale risiedere; non c’è momento in cui non sia un’alleata, un’amica, un santuario, un rifugio. E non è mai assente, solo che a volta è velata. […] Se fai appello alla consapevolezza quando sei immerso nei dubbi, nell’infelicità, nella confusione, nell’ansia, nel dolore, questi stati mentali non sono più «tuoi»: sono solo condizioni meteorologiche del tuo corpo e della tua mente. Quella dimensione di «te» che sa già che dubiti, che sei infelice, che sei confuso, ansioso, risentito, che soffri, non è nessuna di queste cose e sta già bene, è già nella pienezza dell’essere. Non sarà mai altro da ciò che è, dalla persona che sei in realtà, a livello più essenziale. E così, se ricordi la consapevolezza non giudicante nel momento presente come una possibilità e stai imparando a fidartene e vai a trovarla di tanto in tanto, a maggior ragione se vi prendi residenza per tempi più lunghi, allora non solo «stai facendo bene», ma in realtà non c’è nessun «fare» e non c’è mai stato, né c’è qualcuno che lo faccia. Non si tratta, non si è mai trattato di «fare»; si tratta di essere: essere il sapere, compreso il sapere di non sapere. Che differenza c’è? Fermiamoci un attimo a meditare su questo fatto” (Kabat Zinn, ibidem, p. 165, pp. 282-284).
Il modeling
L’osservazione degli altri e il tentativo di imitarli, detto anche modeling, svolge un ruolo importante e implicito nella nostra educazione. Fin da piccoli sappiamo che i bambini valutano il rischio relativo alle nuove situazioni a partire dall’espressione di paura che vedono sul volto dei loro genitori. Sappiamo quindi che certe modalità di risposta all’ambiente possono essere apprese, implicitamente e per imitazione. Questo vale anche per il perfezionismo. Essere figli di genitori perfezionisti aumenta la possibilità di esserlo a propria volta.
Perché non tutti siamo perfezionisti?
Tutti siamo stati soggetti a rimproveri, lodi, punizioni e imitazioni ma questo non basta a spiegare perché alcuni di noi diventano perfezionisti e si torturano intimamente in maniera via via crescente e direttamente proporzionale alla qualità dei loro risultati e altri no. Questa domanda potrebbe, in verità, essere allargata a molte altre situazioni. Perché persone che sono state morse da un cane sviluppano paura e altre no? La risposta a queste domande è duplice: da una parte è chiaro che ci sono componenti soggettive che influenzano la qualità della risposta. Per esempio, sappiamo che persone che hanno avuto una relazione d’attaccamento sicura con i propri genitori sono meno vulnerabili a sviluppare una sindrome post traumatica rispetto a persone che hanno invece un attaccamento disorganizzato. Ma l’altra risposta, che è quella più interessante, a mio parere, è che la diversità degli esiti possibili di fronte allo stesso evento dimostra che abbiamo una possibilità di scelta e che potremmo cambiare le nostre modalità di risposta.
“Ogni realizzazione è possibile una volta che riconosciamo il fatto che non c’è alcuna realizzazione né nulla da realizzare, che lo ricordiamo e lo incorporiamo nel nostro modo di vivere il momento presente e la vita intera. È il dono della vacuità, questo, la pratica del non dualismo […]. E la mente non è più prigioniera di niente, non è più centrata su se stessa. È libera”.Jon Kabat Zinn
© Nicoletta Cinotti 2018
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