
Gregory Kramer è l’ideatore dell’Insight Dialogue, da cui deriva il protocollo della Mindfulness Interpersonale.
La presente intervista, la cui pubblicazione è stata autorizzata dalla Metta Foundation, è stata pubblicata nel 2006. Sul sito della Metta Foundation è possibile leggere l’originale inglese.
Ascoltare profondamente
Ogni momento di pratica può essere una porta che, una volta aperta, rivela qualcosa di importante sulla libertà e sull’aggrapparsi.
Gregory Kramer
Penso che non avrai passato le superiori dicendo, “Passerò la mia vita insegnando Dharma” Quindi ci saranno stati dei passi che ti hanno portato qui. Cosa è successo per cui sei andato in questa direzione Gregory?
Di fatto alla fine delle scuole superiori sentivo un forte interesse per il mondo interno. Proprio come quando ero un bambino. In quel periodo non avevo una parola per definirlo ma il mio interesse era rivolto a come sono davvero le cose – quello che nel buddismo è chiamato saggezza. Ho preso la direzione di alcune delle manifestazioni tipiche della società di quel periodo come la poesia e la psicologia. Quando lessi “Le tre colonne dello zen (The Three Pillars of Zen)” a 17 anni, ebbi una specie di crisi e mi chiedi se non avrei dovuto diventare un monaco. Dopo un po’ di ricerca interiore compresi che non ero pronto. Che avrei dovuto stare nel mondo per seguire la mia passione per la musica.
Fammi indovinare….electric shakuhachi?
Vicino. In privato ero un pianista ma in pubblico ero un compositore ed esecutore di musica elettronica. Facevo parte dell’avanguardia newyorchese in scena negli anni ’70. Ho fatto musica per la danza moderna, per film e concerti. Non era rock and roll. Avevo interesse per la musica tecnologica e ho lavorato per un po’ come inventore e sviluppatore. Il mio lavoro con il suono, e in particolare uno strumento complesso di controllo del suono ideato con Bob Moog, mi ha condotto ad esplorare l’aspetto scientifico. Quando ho lavorato a questa strumentazione facevo parte del Santa Fe Institute e lavoravamo su come i suoni possono rappresentare sistemi complessi. Tanto che mi sono occupato di ricerca sulla riproduzione dei suoni e ho pubblicato un primo libro su questo argomento.
Anche in mezzo a tutto questo il mio cuore era radicato nella meditazione e nel dharma. Ho studiato e praticato in diversi modi con la mia prima insegnante Anagarika Dhammadina, e poi con il Venerable Ananda Maitreya, Achan Sobin e Punnaji Mahathera.
Come hai incontrato questi insegnanti?
Nel 1974 partecipavo ad un seminario di una settimana con un insegnante yoga in Canada, quando qualcuno mi disse che c’era una monaca buddista che viveva lungo il percorso per arrivare, invitandomi ad andare a trovarla. Non sapevo cosa fosse una monaca buddista ma accettai. Quando arrivai vidi una donna vestita di marrone in giardino: era Anagarika Dhammadina. Mi colpì immeritatamente per la sua presenza profondamente chiara e saggia. Il giorno seguente tornai da solo a trovarla e bevemmo insieme una tazza di una bevanda abbastanza indecifrabile. Avevo già letto molto riguardo alla mindfulness e visitato alcune comunità. Avevo compreso che il punto centrale era essere consapevoli e da parte mia facevo già qualcosa in tal senso. Ed era gratificante! Così quando la incontrai potei riconoscere come fosse presente, sicuramente apparteneva ad una tradizione che era focalizzata sulla consapevolezza: Non aveva nulla di teorico o astratto: era un’incredibile combinazione di una donna di campagna austriaca che viveva in Canada – da una parte – e una mistica che parlava con reale profondità della liberazione – dall’altra. Il suo primo compito con me fu quello di rendermi una persona decente. Ero il tipico rappresentante della borghesia occidentale completamente ego-riferito. Non voleva aver niente a che fare con questi aspetti e per lei non c’era nessuna distinzione tra essere una persona decente ed essere una persona liberata.! Era sia una nonna che un’insegnante spirituale.
Ti ha insegnato la meditazione?
Si, mi ha insegnato la vipassana e molte cose sul dharma e sull’abhidhamma. Non la vedevo molto spesso; infatti le sue prime istruzioni furono di circa 10 minuti. Ma l’anno successivo e anche gli anni seguenti, praticai molto diligentemente tra un incontro e l’altro. Lei non aveva nessuna particolare ambizione di essere una insegnante; era molto più interessata a continuare la sua crescita e così invitava insegnanti di ogni parte del mondo sia per il suo apprendimento che per quello dei suoi studenti. In questo modo ho conosciuto gli altri tre insegnanti importanti per me: Ananda Maitreya, Maha Nayaka Thero, e poi Ajaan Sobin. Poco prima di morire mi aveva presentato il Ven. Punnaji Mahathera. Così nei primi vent’anni, la mia pratica è stata un meraviglioso miscuglio di insegnamenti Theravada dello Sri Lanka e della Tailandia. Un educazione di dharma insolita e fortunata. Era incredibile. Aveva la qualità del tornare alla sorgente. Era al di là della tradizione vipassana occidentale e molto nella tradizione Theravada. Questi erano maestri molto rispettabili e, in qualche modo erano anche una specie di mito. Per me era un’esperienza considerevole scoprire la diversa importanza delle varie tradizioni. Si potrebbe pensare che quando si va alla radice, tutti insegnano nello stesso modo e la stessa cosa. Ma ogni insegnante non solo ha una propria personalità e quindi un modo unico di esprimere gli insegnamenti, ma, anche, gli insegnamenti stessi sembrano offrire un’ampia varietà di interpretazioni e approfondimenti dipendenti sia da quali elementi sono enfatizzati dalla traduzione, sia da quelli che sono gli elementi chiave che vengono sottolineati. Il Venerabile Punnaji, in particolare, ha radicalmente ritradotto e ridefinito alcuni elementi chiave del dharma in modo brillante e originale.Quindi mi ritengo fortunato ad aver incontrato così tante diverse sfumature e prospettive e di essere stato portato al cuore delle sutta (*Il Sutta Piṭaka è la seconda grande categoria di testi canonici buddhisti contenuti nel Canone pāli. Secondo la tradizione del buddhismo Theravāda costituisce la collezione degli insegnamenti elargiti dal Buddha Sakyamuni e dai suoi più eminenti discepoli alla comunità dei monaci buddhisti o ai laici che gli rivolsero inviti ad insegnare o quesiti da rispondere) e dell’esperienza personale, da diversi punti di partenza. Ad un certo punto si devono fare delle transizioni personali e la pratica del dhamma (Dharma è un termine sanscrito che presso le religioni dell’Asia meridionale riveste numerosi significati. Può essere tradotto come “Dovere”, “Legge”, “Legge cosmica”, “Legge Naturale”, oppure “il modo in cui le cose sono” o come equivalente del termine occidentale “Religione”) diventa una occupazione parziale in parallelo ad altre cose della propria vita!
Puoi dire qualcosa in più al riguardo?
Certo, perché questa transizione è stata piuttosto esplicita. Anche se il dharma è il mio amore e la mia occupazione più profonda, ho volutamente evitato di rendere l’insegnamento la mia vocazione principale perché ero preoccupato che la mia tendenza alla realizzazione personale prendesse il sopravvento. Ho visto molte persone per le quali l’insegnamento aveva preso il sopravvento in modo negativo sulla loro vita e sapevo che potevo avere la stessa tendenza. Anche se la centralità del dharma non è mai venuta meno. Negli anni ’90 i miei interessi scientifici erano prevalentemente orientati alla percezione e alla produzione del suono ma il mio crescente interesse sui temi della trasformazione personale e sugli studi relativi agli stati di coscienza hanno via via reso più centrale il mio interesse per il dharma. Ho iniziato un dottorato che si occupava dell’integrazione tra le caratteristiche menarli sviluppate dalla meditazione vipassana e l’uso della comunicazione online. E’ stato in quel periodo che hanno iniziato ad emergere le caratteristiche dell’Insight Dialogue.
Come si potrebbe definire, in sintesi, l’insight Dialogue?
E’ l’estensione della pratica personale, silenziosa, nella sfera interpersonale. La tecnica, le qualità coltivate e l’intenzioni fanno parte della tradizione vipassana theravada e sono Sati, la consapevolezza, Samadhi, la concentrazione e Samma Dinnhi, la giusta visione. Queste qualità sono portate nel coinvolgimento relazionale. Così come siamo attenti ai dati della percezione sensoriale durante la vipassana silenziosa sperimentata nei ritiri, così possiamo attentamente esplorare le parole che gli altri ci dicono, attraverso i segnali non verbali che accompagnano la comunicazione verbale.
Quali sono gli antecedenti, i fondamenti, di questa pratica?
Sappiamo con evidenza, attraverso i discorsi, ma soprattutto nel Satipannhana Sutta – il discorso che raccoglie le fondamenta della mindfulness – che il Buddha sottolinea l’importanza di osservare l’intera gamma dei fenomeni, interni, esterni e sia interni che esterni. Questo passaggio è spesso sottovalutato e di solito l’enfasi è posta sugli aspetti introspettivi e anche introvertiti della vipassana. Per quello che posso comprendere, la pratica non è completa a meno che non si riesca a partecipare ai fenomeni esterni con precisione e cura. Questo include i fenomeni interpersonali; un aspetto enormemente importante per la nostra vita relazionale, essendo noi esseri sociali. Ho scoperto solo gradualmente quanto questo modo di praticare sia profondamente e potentemente radicato nella tradizione. Prendiamo per esempio la consapevolezza (anche se potremmo fare riferimento a qualsiasi aspetto della tradizione). Internamente sono consapevole del mio corpo seduto qui a conversare con te. Sono consapevole delle sensazioni piacevoli, spiacevoli, degli stati di coscienza e delle emozioni. Posso anche essere consapevole degli impedimenti alla consapevolezza o dei fattori di illuminazione che sorgono nella mente-cuore, proprio adesso.
Posso anche aprire ed estendere la mia consapevolezza dagli aspetti interni e personali, agli aspetti reciproci o condivisi. Posso essere consapevole delle parole che vengono dette, del corpo e di come muovo il corpo. Posso essere consapevole del fatto che sto rivolgendo l’attenzione all’interno, alle mie reazioni a ciò che viene detto, alle mie avversioni e ai miei desideri, alle mie preoccupazioni e paure. Poi posso nuovamente rivolgermi all’esterno, notare l’impermanenza di ciò che è esterno, che, in questo momento è l’essere presente dell’altro. Tu sei un momento in cambiamento, mentre parli, mentre mi guardi e così via. Allora posso riflettere su ciò che è interno e ciò che è esterno. Il cuore/mente diventa flessibile, calmo e aperto. Cominciamo a vedere le cose per come sono. Guardare alla mindfulness, alla consapevolezza, in questo modo, permette di comprendere e ampliare l’intero momento relazionale, quello che Martin Buber chiama “lo spazio tra”. Questo coinvolge una nozione ampia del contatto interpersonale: la mia voce che parlando raggiunge i tuoi orecchi. E oltre questo linguaggio il contatto mentale. C’è contatto visivo e altri tipi d!i contatti energetici, mentre il momento relazionale si sviluppa sia negli aspetti interni che esterni.
A volte, in effetti, diventa difficile dire dove finisce una cosa e dove inizia l’altra. I confini rigidi tra noi e gli altri – costruiti a partire dall’infanzia o ancora prima – iniziano così ad ammorbidirsi. Questo rivela, naturalmente, la sfida relativa alla costruzione degli aspetti interpersonali e la stessa costruzione della dualità. Questa esperienza può essere direttamente esplorata nell’Insight Dialogue, dove meditiamo insieme. E’ vero che molte persone – studenti ed insegnanti – non conoscono come utilizzare queste istruzioni per l’esplorazione dell’esterno, specialmente quando arriviamo ad esplorare il tono emotivo o gli oggetti mentali. Può essere una comprensione ampia degli insegnamenti classici ma non è una interpretazione opportunistica soprattutto se guardiamo agli insegnamenti buddisti in una luce interpersonale. Il dubbio relazionale e la lussuria, l’aggrapparsi nelle relazioni, l’energia e la paura e tutte quelle forme di dipendenza originate dalla presenza degli altri. Come ho iniziato questo tipo di insegnamento, e via via che la mia pratica si approfondiva, gli insight delle persone diventavano più profondi e intensi nella loro bellezza. Mentre mi immergevo nei sutta vedevo che l’intera conoscenza del Buddha era nata per coprire sia gli aspetti interpersonali che quelli personali.
La nobile verità della sofferenza è un altro esempio a portata di mano. Si, la sofferenza è personale, includendo in questo il dolore fisico, l’invecchiamento e la morte e il senso della vita stessa. Ma c’è una quantità enorme di sofferenza che è interpersonale. Non solo gli altri possono essere la fonte della mia sofferenza (come nelle relazioni) ma molto di ciò che facciamo può causare sofferenza agli altri, sia direttamente che indirettamente e qui possiamo riconoscere il seme della compassione.
Potremmo anche dire che la causa della sofferenza interpersonale può anche essere tanha, il desiderio. Se guardiamo dentro la nostra vita, dentro il nostro cuore, non dobbiamo andare molto lontano per trovare questi elementi. Abbiamo molti desideri e aggrappamenti relazionali. Abbiamo fame di piacere relazionale. Paura del dolore relazionale. Fame di essere visti, di esistere, di essere riconosciuti in senso relazionale. E paura di non esistere, desiderio di scappare. Questi desideri – di esistere e di non esistere – possiamo comprenderli in senso interpersonale. Tutti questi desideri stanno alla radice della sofferenza.
A questo punto possiamo chiederci se la terza nobile verità è vera in senso interpersonale. Come sarebbe la mia vita con la cessazione della fame, degli aggrappamenti, dei desideri relazionali? La quiete e l’amore che coltivo sarebbero ancora disponibili per gli altri? Il loro amore sarebbe ancora disponibile per me? Posso vivere con gli altri con l’espansività, l’apertura, la disponibilità e la tranquillità di cuore che viene dalla cessazione di questi desideri interpersonali e degli aggrappamenti che creano? La gentilezza amorevole e la compassione non sono una teoria: sono u!na esperienza.
E’ un fatto che riguarda una maggiore intimità?
E’ una parola interessante che naturalmente emerge nei ritiri e nei gruppi di pratica. Ho imparato a distinguere due elementi dell’intimità. Un aspetto è l’intimità costruita: quella a cui pensiamo di solito quando ci riferiamo alla parola intimità. Forse abbiamo passato una vita insieme come marito e moglie, o come soci o come amici di vecchia data. E’ una intimità che ci è familiare, compresa e sicura, vicina. Ci sentiamo così perché le fibre che la costituiscono sono così lavorate, così numerose, così profondamente radicate nella nostra struttura.
Ma esiste anche una qualità di intimità che non ha questa natura di costruzione, che troviamo proprio nell’assenza di tutto questo. Siamo intimi proprio perché non c’è nulla di tutto questo tra di noi. E’ quella che sorge in meditazione quando abbiamo un contatto diretto con l’esperienza e quell’esperienza coinvolge un’altra persona o altre persone.
Non è solo il mio diretto contatto con l’esperienza che avviene nella meditazione personale – vedere è vedere, udire è udire, e così via – ma avviene nell’essere presenti con un’altra persona, con gli occhi aperti, con le orecchie aperte, avendo camminato oltre il senso di costruzione di se e dell’altro. E’ una intimità sperimentata e non costruita storicamente.
Questa intimità non costruita fa emergere un senso di se – o di non-se – non costruito. E’ l’essenza dell’impermanenza, del vuoto: è il senso di anatta, di shunyata. Shunyata si estende all’insieme della nostra vita, anche nel luogo delle relazioni personali, dove è più spesso assente. La terza nobile verità, compresa in senso interpersonale, rivela questa qualità di essere con gli altri. E’ una qualità di riposo senza aggrappamento, la visione di ciò che è, esattamen!te come è.
Ho notato che molte persone, anche con grande esperienza di meditazione, trovano il lavoro dell’Insight Dialogue, una esperienza notevole
Non è incredibile? Questo per me è una grande fonte di ispirazione. Vorrei dirti perché, secondo me, accade. Sappiamo ormai che molte persone coinvolte con la pratica tradizionale, possono bypassare molti temi e perdere quindi molti insight. La mente è molto potente e può proteggerci dal conoscere quelle aree di tensione, confusione e dolore. Ma molto di ciò che ci nascondiamo diventa impossibile da tenere nascosto quando portiamo la nostra pratica all’aperto, con gli altri, quando ogni momento di pratica è supportato e anche misurato, dagli altri.
L’esperienza diventa allora una reattività non limitata, che è la natura essenziale della consapevolezza, interna ed esterna.
Questa qualità di apertura è l’essenza dei momenti di trasformazione dove diminuisce l’aggrapparsi e il desiderio. Questo porta un lasciar andare che include gli aspetti psicologici, anche se è più ampio di questi aspetti. E si estende al mistero del risvegliarsi dal letargo dell’inconsapevolezza. Se siamo con un’altra persona o con altre 20 persone, partecipando tutte allo stesso momento, dando una luce vivida di consapevolezza, cura e compassione, ci risvegliamo a vicenda a queste qualità. Nei ritiri c’è poco spazio per la letargia. Così i ritiri di Insight Dialogue tendono ad essere molto provocatori all’inizio, un vero crocevia per la pratica, mentre successivamente sono una vera benedizione, man mano che si sviluppa la quiete del lasciar andare. Incontriamo regolarmente capacità di pace relazionale, gioia e intuizione profonda che non sapevamo di avere.
Uno dei luoghi di maggior interesse dove tutto questo conduce è una maggiore comprensione della natura costruita di concetti come razza, genere, etnia e potere. Con la meditazione interpersonale, la natura dei costrutti relativi al proprio sé e al sé degli altri, diventano molto chiari proprio come nella meditazione personale comprendiamo i nostri costrutti. Possiamo osservarli in maniera dinamica come in un film a tre dimensioni. Possiamo osservare come costruiamo noi stessi nelle relazioni con gli altri e come costruiamo il nostro senso di noi: Questo può essere divertente, sorprendente, e, in una parola, liberante.
Tutto questo può avere molto impatto visto che molti dei problemi del mondo sono causati da un esacerbarsi delle nostre difficoltà comunicative.
Queste difficoltà derivano dalla nostra incapacità a riconoscere che la nostra modalità comunicativa è strutturata sulla base dei significati che costruiamo e sulla base dei costrutti che abbiamo su noi stessi e sugli altri.
Nella mediazione interpersonale abbiamo la possibilità di osservare tutto questo in tempo reale. Lo vediamo mentre lo stiamo facendo perché portiamo consapevolezza e tranquillità di osservazione durante lo scambio relazionale.
Questo lavoro può darci una comprensione più profonda di cosa significa vivere con gli altri e cosa significa essere con gli altri nel proseguire della relazione intima. Cosa può portare nei nostri rapporti matrimoniali, nelle relazioni genitoriali o con i colleghi? Impariamo come il nostro desiderio, anzi la nostra fame di piacere, o di essere visti, o, al contrario di nasconderci, ha un influenza sulle nostre relazioni.
Questi aspetti possono rimanere nascosti nelle relazioni e diventare opportunità di risveglio e libertà piuttosto che nodi che complicano le nostre abitudini interpersonali e le nostre paure.
Queste affermazioni spaventano e motivano insieme
Non è un lavoro semplice. D’altra parte il dharma è motivante e spaventante insieme, vero? E’ l’aspetto interpersonale della stessa cosa.
Nella pratica individuale ci nutriamo della saggezza che deriva dalla meditazione. Possiamo applicare la pratica in se, nella terapia, nella risoluzione dei conflitti, nell’educazione, nel lavoro con le dipendenze o nelle collaborazioni artistiche.
Di fatto, ognuna di queste aree può aprire una porta che rivela qualcosa d’importante sulla l!ibertà e sulla nostra tendenza ad aggrapparci.
Ti stai muovendo in una nuova direzione. Potresti dirci qualcosa rispetto alle C!ontemplazioni sul Dharma?
Quelle che chiamo contemplazioni di dharma possono essere viste come pratica interpersonale sulla giusta visione. Nasce dalla mia esperienza sulla ricchezza degli insegnamenti del Buddha, dal mio incontro con i sutta, le parole del Buddha riportate dall’antico canone Pali. Mentre leggo il discorso, lascio emergere qualcosa che mi tocca profondamente e mi soffermo su quel punto.
Cerco di immergermi nelle parole e nelle frasi, e di dimorare a diversi livelli – emotivo ed intellettuale – nel testo e poi mi chiedo “Come tutto questo tocca la mia vita?”. Lascio che gli insegnamenti si muovano nel cuore e saturino il mio corpo-mente. E’ un apprendimento profondo. Quando ho conosciuto la pratica cristiana della lectio divina, un modo di comprendere le parole di Gesù e del Nuovo Testamento da diversi punti di vista, ho sentito che era una grande ispirazione. Anche la pratica ebraica della lettura delle poesie, la Midrash, ha avuto un’influenza sulle contemplazioni di Dharma. Ho iniziato a sviluppare un modo di incontrare le parole del Buddha e i loro diversi significati, come se fossero una lectio divina, adattata alla pratica in dialogo, dove la saggezza arriva dalla pluralità anziché dalla singola persona.
La contemplazione del dharma è prima di tutto una pratica di gruppo che può essere fatta in coppia o anche online. Prendiamo piccoli frammenti dell’insegnamento del Buddha, tradotti in inglese e attraversiamo diverse fasi. Prima vengono assorbiti gli insegnamenti, ascoltando la lettura, Poi parliamo in gruppo su cosa ci colpisce. Poi pratichiamo in silenzio o con delle pause, in mezzo al dialogo. In modo da internalizzarli o anche memorizzarli. Infine ne esploriamo il significato intellettuale, chiedendoci il significato di certe metafore, parole o frasi.
Infine portiamo l’attenzione alla risposta emotiva, notando le sottili risonanze che possono avere parole come, abbondanza o lasciar andare. Dopo aver esplorato il significato e l’emozione nel testo, entriamo nel dialogo per esplorare come questa verità si manifestano adesso, nella nostra vita.!
Questo per me significa stare nel momento dell’esperienza rispetto agli insegnamenti del Buddha. E ci porta verso il silenzio. Spostandoci così verso una contemplazione personale e lasciando che gli insegnamenti diano i loro frutti dentro di noi.
Queste due pratiche – l’Insight Dialogue e le Contemplazioni di Dharma – sembrano avere qualcosa in comune con la tua esperienza di musicista e l’ascolto attento che la musica richiede. La tua vita sembra ruotare attorno al gustare il tessuto e le sfumature del suono, e, in senso più ampio, delle parole.
Penso che tu abbia ragione: si tratta, per l’appunto, di essere sintonizzati nell’esperienza del contatto con il mondo e di essere attenti – svegli – nel momento in cui avviene l’esperienza. L’ascolto attento è sempre stato per me una esperienza – consapevole – dell’impermanenza. Quando ascolto cerco di rimanere nel momento così come si sviluppa. Se suono un brano musicale, chi l’ascolta è invitato a vivere quell’esperienza con me. Si può dire che siamo dialogicamente insieme. Con gli altri musicisti o con l’audience, così come con gli altri meditatori nell’Insight Dialogue, o con gli altri studenti degli insegnamenti del Buddha, nelle contemplazioni di Dharma. Tocchiamo lo stesso momento. Questo momento.
Quando ascoltiamo i suoni, formiamo modelli sonori che sono basati sull’esperienza percettiva e da questa percezione emerge la comprensione. Essere pienamente presenti e sintonizzati con queste sensazioni e percezioni ci permette di diventare totalmente presenti, come nella meditazione.
Ancora qualcosa che desideri aggiungere Gregory?
Vorrei solo ricordare che la meditazione interpersonale, come la pratica di meditazione personale, va al di là della mindfulness. Parliamo molto della mindfulness e questo è un grande inizio. Ma quando entriamo davvero dentro l’intuizione della meditazione e il nostro scopo diventa quello di vivere il dharma nella nostra società, il nostro grande inizio diventa qualcosa di più. Non è solo come possiamo coltivare la mindfulness quando siamo in conflitto ma come possiamo avere un giusto impegno e come possiamo avere una giusta visione. E’ qualcosa che cattura e offre una prospettiva molto più ampia e , dovrei dire, più profonda, di come gli insegnamenti possono applicarsi alla nostra intera vita.!
Insight Journal Primavera 2006
Trad. italiana a cura di Nicoletta Cinotti
Questa traduzione si pone l’obiettivo di essere fedele nei contenuti ma non sono una traduttrice professionale. Spero comprenderete che eventuali imprecisioni non sono dovute a cattiva volontà. Segnalazioni di eventuali errori o imprecisioni verranno valutate e ben accolte.
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