Amarsi è una faccenda davvero complicata. Soprattutto quando l’essere amati è stata un’esperienza carente nella storia della tua vita o addirittura hai ricevuto il messaggio contrario.
“Come si può amare qualcosa che non si conosce e che mai è stato amato?” Alice Miller
Siamo nella continua ricerca dell’accettazione degli altri sperando che sia quello il nettare che finalmente riempirà il vuoto che abbiamo dentro; ma brilliamo di luce riflessa invece di alimentare la fiamma dall’interno. Non ci rendiamo conto, da adulti, gli unici che possono colmare quel buco nero possiamo essere soltanto noi. Pensiamo magari che avendo compassione per i limiti degli altri, accogliendoli sempre e comunque con affetto otterremo quello che ci è mancato mentre nel frattempo ci lasciamo morire di fame. Faccio la psicoterapeuta è provo una gioia infinita che mi rivitalizza quando vedo nel mio lavoro che le persone aumentano pian piano il loro benessere, lo trovo un privilegio impagabile. Ancora però lotto per dare a me stessa la considerazione e la cura che ho per loro. Mi sembra che per me non valga la pena sprecare energia. Non sono minimamente abituata nemmeno a pensare di meritare la stessa indulgenza ed attenzione alla loro incredibile bellezza anche se spesso offuscata e sfigurata dal loro malessere.
Ho provato, tuttavia, molta tenerezza e stupore nel rileggere un’autovalutazione fatta più di dieci anni fa alla fine del primo anno di specializzazione. Mi aspettavo di trovare qualcosa di rozzo e ormai anacronistico da cui prenderne immediatamente le distanze: dopo tutto il lavoro personale e professionale fatto in questi anni includendo anche il contatto con il mio corpo misconosciuto e maltrattato mi sembrava il minimo! invece né sono stata addirittura orgogliosa: sono sempre la stessa anche se sono diversa e questo stranamente non mi suona come una brutta notizia ma una rivelazione.
“Nella misura in cui ciascuno di noi è disposto ad essere se stesso, scopre non solo di stare cambiando il mondo, ma che le persone con le quali si relaziona stanno anch’esse cambiando…”. Carl Rogers
Sono entrata in questa scuola senza grosse aspettative di trovare qualcosa di speciale che potesse sorprendermi. Non avevo la più pallida di volere davvero fare la psicoterapeuta, né se ne sarei mai stata in grado. Speravo che durante il percorso potesse farsi maggiore chiarezza dentro di me. Del resto che fare quando, nonostante l’età anagrafica e tutti gli sforzi profusi in oltre un decennio di terapie varie, ancora non sai quello che ti piacerebbe fare nella vita? Così mi sono iscritta ad una scuola di specializzazione per recuperare tempo nel caso avessi poi scoperto che quella fosse la mia ambizione e ho scelto lo IACP perché quello che sosteneva questo Rogers mi emozionava.
Avevo ormai smesso da un’po’ psicoterapia, gruppi vari e bioenergetica perché sentivo di non aver più niente da dire ed ero stufa di spendere soldi senza trarne benefici particolari. Oramai avevo scandagliato tutta la mia triste storia e sviscerato tutti i miei innumerevoli traumi in tutte le salse ma, sebbene ne avessi tratto notevoli benefici, era tempo che percorrevo un binario morto. Mi sentivo scoraggiata, ma soprattutto continuavo a provare dolore, solitudine, confusione e tanta paura di vivere. Ho cominciato a valutare l’ipotesi che forse non era possibile andare più in là di così e che avrei dovuto rassegnarmi a restare così come ero. Evidentemente, per tutto quello che avevo passato non era possibile fare di meglio.
Così all’inizio del primo intensivo temevo di annoiarmi e di trovare la conferma che non c’era altro da fare. Inaspettatamente mi sono coinvolta così tanto in quello che si faceva che mi sono trovata in balia di una dose massiccia di emozioni che affioravano in me spontaneamente senza che facessi nulla per stimolarle. Lacrime e lacrime continuavano a scendere in qualsiasi momento fino al punto che mi sono arresa e abituata alla loro presenza continua. All’inizio avevo un’po’ di pudore e mi disturbava il pensiero che alcuni giudicassero un segno di debolezza quello che invece avvertivo come una conquista. Mi ero così sforzata di rendere giustizia al mio dolore che non credevo potesse realizzarsi davvero. Inoltre, mi capitava di riuscire a dire a me stessa e agli altri esattamente quello che volevo per quanto complicato fosse, e come mi facesse sentire più leggera e soddisfatta. Come se mi si fosse sciolto il cervello. Un minuto mi sentivo uno straccio e quello dopo piena di impeto. Allo stesso tempo, dopo il consueto screening difensivo, mi sono accorta di trovarmi con persone di notevole qualità che mi hanno accolta e mi hanno permesso di rischiare. Stranamente più tiravo fuori me stessa più la gente pareva avvicinarsi dimostrandomi di essere meno pestifera ed incapace di quello che credevo. Tutta la vita ho pensato che solo se fossi riuscita ad essere perfetta gli altri mi avrebbero amata, per cui ogni rilevamento di un difetto costituiva e in parte costituisce ancora una insopportabile minaccia di rifiuto. La prova schiacciante della mia colpevolezza che mi avrebbe condannato ad una più che meritata condanna alla solitudine. Solo ora mi rendo conto che oltre a perseguire una missione impossibile, oltre che inutile, mi stavo sottoponendo ad un ulteriore crudeltà.
Inoltre mi sono accorta di avere dei bisogni e come ogni volta li eludo per quelli altrui e come questo meccanismo sia incredibilmente potente. Sento una potente impellenza di rispondere ai bisogni altrui e tanta felicità quando mi sembra di riuscirci, però non riesco a mettere un limite. Perdo completamente di vista me stessa, soprattutto al di fuori dell’aula, il solo posto in cui invece mi sento autorizzata a dare diritto di cittadinanza ai miei bisogni.
Ho sentito il bisogno di riposizionarmi di fronte a tutte le amicizie di lunga data che ritenevo significative e mi sono accorta che non mi conoscono per niente. Non ho mai chiesto loro molto mentre mi sono resa sempre disponibile per dispensare perle di saggezza che, probabilmente, non li ha aiutati a responsabilizzarsi e a crescere. Quale meraviglia allora se adesso, di fronte al timido tentativo dei miei bisogni di esprimersi si sentano traditi, trascurati e arrabbiati. Non ho mai espresso loro i miei bisogni perché l’unica cosa chiara e che avevo bisogno della loro presenza. Non hanno amato me ma erano solo dipendenti dal mio supporto ed io avevo paura di restare sola.
Mi sento molto soddisfatta del cammino interiore che ho percorso in questo anno e penso di dovere molto al caldo e generoso supporto di Gabriele su cui ho potuto contare nei momenti di acuto dolore e paura che mi ha permesso di prendere molti rischi. Vorrei essermi impegnata allo stesso modo sui libri anche se devo riconoscere che molta della teoria l’ho direttamente testata su me stessa.
Inoltre devo ringraziare il fatto di aver incontrato una persona come Alberto, non tanto per le sue capacità personali, ma per le sue evidenti mancanze che in qualche modo mi danno la speranza ed il coraggio di poterle mostrare anch’io senza il terrore di essere rifiutata.
PS: SITUAZIONE ATTUALE
Mi sembra di cominciare finalmente a raccogliere i frutti di tanto lavoro. Tutto quel vomitare dolore, che pareva semplicemente fare spazio ad altro dolore, sembra lentamente lasciare il posto al timido affiorare dei miei bisogni. Sento di riuscire finalmente ad avere almeno la capacità di fermare la compulsione ad anticipare i bisogni altrui. Ho ancora grosse difficoltà a sottrarmi a richieste di aiuto esplicite ma non mi sento più così responsabile della salvezza altrui. Sento di avere più cura di me stessa e di risparmiare energia per dedicarla a quello che Giovanna desidera fare per sé. La cosa più straordinaria è che si è incredibilmente attenuato il senso di colpa verso le mie debolezze e non mi importa di essere giudicata strana, egoista, pigra. Riesco ad esprimere con molta più efficacia e spontaneità quello che sento e mi rendo conto di come questo sia funzionale a sentirmi libera e leggera. A volte riesco addirittura a chiedere aiuto. Il rapporto con Gabriele diventa sempre più ricco ed intimo. Stiamo crescendo e cambiando insieme. E’ aumentata la comprensione e la solidarietà tra di noi e per noi stessi e questo mi rende felice.
“Non è mai troppo tardi per diventare ciò che avresti potuto essere”. George Eliot
©Maria Giovanna Renna 2015
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