
Tempo fa, durante il mio primo incontro con Carolina Traverso, una delle prime domande che mi pose fu riguardo il libro “A mente serena”: “Come ti è nata l’idea di scrivere un libro sulla Mindfulness?”
Poiché non amo le conversazioni banali (e non sapevo ancora che Carolina in questo mi batte 3-0), risposi: “Intendi dire, come mi sono permesso di scrivere un libro sulla Mindfulness?”
Perchè un praticante appassionato di Mindfulness sente il bisogno quasi fisico di trasmettere agli altri ciò che ha imparato e impara quotidianamente, ma soprattutto, elaborando un percorso personale, come se non esistessero protocolli più che validi e anche scientificamente riconosciuti?
Certamente, una percentuale di responsabilità è dettata da quella vocina che spesso mi dice: se ce l’ha fatta Tizio e Caio, puoi farcela anche tu.
In realtà, le ragioni che mi hanno portato a voler proporre un approccio personale, sono due ed entrambe derivano dalla mia esperienza.
Il primo luogo, c’è il mio percorso di malato cronico che negli ultimi dieci anni si è sempre più illuminato, facendomi scoprire valori e insegnamenti che non avevo ancora appreso oppure avevo assorbito ma in modo non consapevole.
Oltre a questo, c’è la mia storia buffa di meditante.
Da inconsapevole autodidatta via via ho imparato l’importanza che alcuni piccoli e brevi momenti avevano rappresentato e potevano continuamente rappresentare nella mia quotidianità, a volte resa particolarmente faticosa dalla malattia.
Ho imparato che ritagliarci questi momenti con impegno e costanza può favorire il passaggio fondamentale tra “fare mindfulness” e “essere mindfulness”.
Partiamo dalla malattia: è realmente possibile trasformarla in un percorso di consapevolezza?
Certamente sì. Non è semplice e tantomeno obbligatorio, ma possibile lo è, eccome.
E’ possibile prendere coscienza che le sofferenze, i momenti di dolore e sconforto, visti da un’altra prospettiva, possono essere delle preziose lezioni e diventare fondamentali insegnamenti.
Facciamo un esempio: la malattia mi ha insegnato ad ascoltare il mio corpo.
Naturalmente non ne ero consapevole quando avevo dolori forti e improvvisi o dovevo affrontare periodi di forte malessere eppure, giorno per giorno, momento per momento, mi ha spinto a portare la mia attenzione ad ogni reazione che il corpo produceva mangiando o bevendo qualsiasi alimento o bevanda, con il caldo dell’estate o con il freddo dell’inverno.
In questi anni, molto lentamente e con grandi sforzi, ho imparato ad accettare. Non solo la malattia, ho imparato a discernere cosa posso accettare e cosa posso fare realmente, di fronte agli avvenimenti che la Vita ci regala. Mi ha insegnato la responsabilità.
E l’autodidatta inconsapevole? Respirava. Respirava ogni volta che aveva un dolore, lieve o intenso, passeggero o persistente.
Respirava prima per non pensarci poi perché sembrava lenire il dolore, poi ancora perché favoriva il sonno, specialmente in ospedale.
Mi appoggiavo una mano sulla pancia e respiravo.
Qualche anno dopo, ho imparato che era una forma di meditazione.
Qualche anno dopo ancora, mi è venuto spontaneo offrire un punto di vista diverso, soprattutto a chi diceva di non aver tempo per la pratica formale.
Vogliamo meditare? Fantastico. Vogliamo meditare 30 minuti al giorno? Grandioso.
E le altre 23 ore e mezza della giornata? Siamo consapevoli che stiamo respirando? Siamo consapevoli, per dirne una, di ciò che fanno i nostri piedi mentre camminiamo?
E se corriamo?
Siamo consapevoli delle emozioni che emergono dentro di noi di fronte ad un banale episodio come ce ne sono a centinaia nella nostra vita di tutti i giorni? Per esempio, come reagiamo quando uno sconosciuto ci ruba il parcheggio che avevamo finalmente trovato o il vicino tiene la musica a tutto volume?
Se decideste di andare alla maratona di New York, il prossimo novembre, senza aver mai corso durante la vostra vita, oggi, qui e ora, andreste a correre 42 chilometri o fareste una camminata?
Volete venire a dare la vostra risposta, a Nicoletta e a me, il prossimo 23 marzo? Per partecipare registrati su Eventbrite
Potrete ascoltare anche la mia.
Vi aspettiamo!
Giuseppe Coppolino in dialogo con Nicoletta Cinotti