Sono una persona lenta, una di quelle piante a maturazione tardiva. Malgrado da più parti si parli un gran bene della lentezza io non vado particolarmente fiera della mia.
In tanti momenti ho pensato che avrei voluto imparare più velocemente e crescere più in fretta. Poi torno all’evidenza del mio ritmo, al mio essere un po’ troppo placida su alcune cose (molto meno su altre) e mi dico che siamo come siamo, non possiamo cambiarci.
I miei genitori hanno fatto di tutto per rendermi precoce ma, dopo un piccolo scatto iniziale, sono sempre tornata alla mia lentezza.
Ieri si è aperto uno spiraglio, improvviso, sulle ragioni della mia lentezza: sto aggrappata alle cose fino allo sfinimento. Non vado via un secondo prima. Aspetto che siano proprio finite, esaurite. Come se, andarsene prima, fosse un abbandono. Cresco lentamente perché – da tutta la vita – cerco di aspettare che le cose finiscano prima di andarmene.
Inibisco la naturale spinta ad andarmene quando qualcosa è finito per me, per aspettare che sia proprio finita per tutti. In parte mi aggrappo per rimanere in compagnia ma, in parte, perché non vorrei essere mai colei che abbandona. Che illusione!
Le tensioni che sorgono attraverso l’inibizione sono tensioni croniche, che si sviluppano lentamente, attraverso ripetute esperienze, così insidiosamente che la persona difficilmente riesce ad accorgersene. Alexander Lowen
Pratica di mindfulness: La meditazione del lago
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©Anto/logia
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