
Ci sono disobbedienze piccole, reattive. Quelle che facevamo da bambini per far arrabbiare la mamma. Oppure quelle che facciamo da adulti per non darla vinta a qualcuno. Le facciamo in maniera simmetrica e relazionale. Il vero riferimento di quella disobbedienza è una relazione. Disobbediamo per definire la distanza relazionale, oppure per punire.
Ci sono anche delle obbedienze piccole. Sono quelle che facciamo per compiacenza – fishing for compliments come dicono in inglese – le facciamo per raccogliere consenso, benevolenza e apprezzamento.
Sono entrambe piccole perché affermano qualcosa in subordine ad una relazione che, in quel momento è più importante di noi. Non arricchiscono né l’una né l’altra. Non fanno nemmeno bene alla relazione che, molto spesso, scorre ignara di questo intimo sacrifico.
un sacrificio che non rende sacra la nostra azione perché si basa sul tradimento di noi stessi.
Poi ci sono obbedienze e disobbedienze gloriose. Quelle in cui permettiamo che qualcosa ci entri dentro fino a diventare nostro. E siccome è diventato nostro è diventato diverso. profondamente diverso. Può sembrare che abbiamo disobbedito. E, invece, è proprio perché abbiamo obbedito fino in fondo che possiamo disobbedire gloriosamente. È una disobbedienza gloriosa perché è palese e brilla della novità che abbiamo portato. È gloriosa perché nasce dalla fedeltà a sé stessi e non dal tradimento di sé stessi. È gloriosa perché il nostro interlocutore di riferimento potrà imparare dalla nostra disobbedienza che rende, il suo insegnamento, ancora più prezioso, arricchito dalla luce della nostra consapevolezza.
L’obbedienza e la disobbedienza piccole sono veloci, automatiche. L’obbedienza e la disobbedienza gloriose sono lente: prendono il tempo per crescere e svilupparsi. Forse non potremo mai rinunciare a piccole obbedienze e disubbidienze ma l’importante è lasciare che nella nostra vita ci sia qualcosa di glorioso.
Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto. Oscar Wilde
Pratica del giorno: Protendersi