
Quant’è bello il mio giardino
Non seguo una tradizione yogica specifica, bensì l’insegnamento di molti maestri, non necessariamente insegnanti yoga, ma da ciascuno ho imparato qualcosa e a ciascuno sono grata per avermi svelato un tassello di consapevolezza.
La mia intenzione è condividere ciò che ho imparato, “contagiare” ciascuno con la pratica, i cui ingredienti sono gli stessi dell’amore: devozione, disciplina, fiducia, fermarsi, sentire, ascoltare, provare, cambiare strada, giocare, ridere, piangere a volte, essere gentili, presenti ed essere sé, equanimità e senso della pienezza, onore al vuoto, semplicità, fluire, qui ed ora…
L’inizio guerriero
Ho iniziato con una pratica definita marziale, perché guerriera, “rigida”, prevede infatti la ripetizione delle stesse pose ogni giorno, asana affatto semplici e che implicano lo sviluppo di molta forza, disciplina, costanza, fatica.
Ogni mattina per qualche anno mi sono alzata all’alba a praticare questa sequenza, la prima serie dell’Asthanga Vinyasa Yoga, un momento rituale tutto per me, mentre intorno il mattino piano piano si svegliava e i rumori della strada diventavano via via più intensi. Questa pratica rispondeva alla mia testardaggine, metteva in campo forza che non avevo e che ho dovuto via via sviluppare, la mia determinazione a stare laddove faccio fatica per la credenza, retaggio educativo, che “senza sforzo nulla arriva”, la mia rigidità e paura di cambiare…la ripetizione mi dava forza, sicurezza, e il mio corpo sin dall’inizio ha risposto con apertura e flessibilità, permettendomi di riuscire a portare a termine la serie in poco tempo.
All’inizio era quasi una prova di forza con me stessa, il mio corpo cambiava e così la presenza nel mondo, le mie radici si sono ammorbidite e allargate, i confini del corpo più netti, le tensioni sciolte e il respiro allungato. Però è successo qualcosa di inaspettato, tutto il controllo esercitato per rendere il mio corpo più forte mi ha permesso via via e un po’ paradossalmente di mollare la presa, sviluppare consapevolezza, di dimenticare la misura del giudizio: è andata bene o male, riesco a chiudere tutte le posizioni,… via via il corpo aperto e flessibile ha svelato paure, desideri, una gioia senza raggiungimenti, mi ha permesso il sentire.
L’acroYoga
In quegli anni seguivo anche le classi di esercizi bioenergetici, la meditazione mindfullness (che non ho più abbandonato) e ho iniziato a praticare acroYoga, una forma di partner yoga che mette in campo relazione e gioco, paura e fiducia, comunicazione e ascolto; e li ritengo tutti ingredienti che hanno contribuito e contribuiscono nel mio quotidiano allo sviluppo della consapevolezza.
Per imparare a stare, con la mente calma e a smettere una corsa che mi sembra iniziata da piccola, a fare meglio, di più, a dimostrare, a raggiungere… ho avuto bisogno di una pratica guerriera, che ha letteralmente abbattuto le mie difese, via via che la consapevolezza arrivava. La consapevolezza ha fatto sciogliere durezza, rigidità, esecuzione meccanica ed è iniziato il fluire. Le pose si susseguivano una dopo l’altra come snocciolare una japamala (una specie di rosario, di tradizione buddista) e un senso di vitalità mi pervadeva, praticavo sorridendo e non sforzandomi di entrare nelle asana più complesse. Lo scopo non era più terminare la serie ogni mattina, ma stare nel sentire e arrivare dove l’oggi mi portava.
Praticare la stessa preghiera
Ho avuto la fortuna di incontrare grandi maestri, con i quali ho sentito di poter entrare in connessione con la pratica autentica, tramandata dal grande maestro Pattabhi Jois, come se ripetere quelle asana come un mantra permettesse di accedere all’energia da lui tramandata, di entrare in connessione con tutti quelli che nel mondo stavano praticando con me la stessa “preghiera”.
Devo molto a due grandi maestri che mi hanno accompagnato ogni mattina con ironia e ricordandomi che ci sono dei tempi per le asana, c’è un tempo che permette di non farsi male e soprattutto di sentire e che è diverso per ciascuno, e c’è anche un asana per ciascuno, ogni corpo prende forme diverse anche se tutti pratichiamo la stessa posa.
Forza e morbidezza
Oggi la mia pratica e ciò che cerco di insegnare è dall’unione di Yin e Yang, forza e morbidezza, non è più la pratica guerriera, a cui a volte torno, ma il fluire del respiro a dettare le asana, a guidare il corpo che segue e a volte precede il respiro successivo, si chiama Vinyasa Yoga, ovvero “un movimento, un respiro”. Le asana sono quelle dell’Hatha Yoga è il modo di connetterle tra loro e di fluire da una all’altra che varia. Dentro ci sono gli insegnamenti di tutti i Maestri incontrati e da cui vado a studiare, non solo Yogi, che mi hanno permesso e mi aiutano ogni giorno, a crescere.
Non ultimo, l’insegnamento di mio nonno, che costretto all’ospedale per qualche giorno, alla bellezza di 97 anni, mi ha ripetuto chiudendo gli occhi, quasi a vederlo : “quant’è bello il mio giardino, sedermi lì, anche sulla scala (perché non sempre adesso riesce ad andarci) e guardarlo” e me ne descriveva ogni particolare. Mi ha commosso, perché mio nonno è un uomo semplice, non di grandi intuizioni intellettuali, ma con queste poche parole e gesti, mi ha trasmesso il sentimento della vita, che avere casa in sé stessi è tutto ciò che conta. Insieme ora attendiamo i suoi 100 anni, ma come dice lui “già quando apro gli occhi al mattino e vedo che sono qui, sono contento e poi, faccio colazione, vado a guardare il mio giardino, mangio qualcosina e con la Maria (sua moglie da più di 60anni) andiamo avanti”.
Il più prezioso insegnamento che lo Yoga mi ha regalato oggi e che voglio condividere qui è proprio questa possibilità di sperimentare di essere contenuti nell’attimo, la contentezza.
© Valeria Maggiali 2015