“Mi piace praticare ma sono talmente occupato che non riesco a trovare il tempo”. Questa potrebbe essere – sinteticamente – una frase che diciamo, a noi stessi e agli altri.
La mindfulness però non richiede tempo. Richiede pausa. Pausa dalla nostra reattività abituale, dal nostro aggrapparsi al conosciuto, tornando all’esperienza. Pausa dal fare per chiedersi “Dove sono proprio ora, cosa sento proprio ora?”. Pausa dall’identificazione con i nostri pensieri e con le nostre emozioni.
All’inizio questa pausa richiede una sorta di sforzo: è una interruzione e una resistenza alla consueta pressione che sentiamo, una pressione prodotta dalla tensione del corpo e alimentata dalla spinta emotiva. Questo tipo di sforzo è essenziale per poter uscire dall’ingranaggio che ci stritola.
Questa pausa potrebbe sembrarci il contrario della spontaneità ma, se guardiamo da vicino la nostra spontaneità, spesso ci accorgiamo che è impulsività: una impulsività che innesca un circolo vizioso di ripetizioni.
La pausa invece, interrompendo la nostra impulsività, ci permette di lasciar uscire la nostra vera natura. Permette che qualcosa di fresco e di nuovo accada.
Quando pratichiamo Pausa sentiamo che il nostro aggrapparsi si rilassa. In quel momento facciamo un passo dentro la consapevolezza e un passo fuori dalla nostra reattività abituale.
Quando pratichiamo pausa accadono due cose: la prima è che ci fermiamo. Smettiamo di parlare, di vagare interiormente, fermiamo il momento e le nostre tendenze abituali. La discontinuità con il passato è un cambiamento enorme. (…)Nello stesso tempo mettiamo i semi di un nuovo futuro, creiamo una nuova tendenza: la tendenza verso la consapevolezza e il non aggrapparsi. Gregory Kramer
Pratica di Mindfulness: Standing Yoga
© Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi
Foto di ©i k o “After the storm”
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