
Ci sono relazioni in cui è difficile stare lontani ma, paradossalmente, è anche difficile stare vicini. Sono relazioni in cui oscilliamo in continuazione tra intimità e distanza; relazioni in cui fantastichiamo di andarcene ma ci troviamo sempre più coinvolti e incapaci di chiudere.
Non impariamo ad amare da adulti: l’amore è un sentimento pieno di memoria. La memoria di come siamo stati amati, la memoria di quello che vuol dire essere separati e individuati, la memoria di come non siamo stati amati. Queste memorie si mescolano tra di loro e declinano i gradi dell’intimità e della distanza a volte con semplicità, a volte con tormento perché ricordano il momento in cui siamo diventati uno o meglio il momento in cui da un Uno grande che includeva tre (noi, mamma, papà) siamo diventati un Io a misura di noi stessi.
C’è una fase in cui non c’è distanza tra il bambino e chi lo cura. In quei momenti forse crediamo di ricevere magicamente quello di cui abbiamo bisogno ma con il passare del tempo – e qualche dose di inevitabile frustrazione – comprendiamo bene che tra noi e loro, i genitori, ci sono diversi gradi di differenza. Questa fase di distacco è preceduta da una transizione – quella del rifornimento affettivo – in cui il bambino si allontana, prova a sperimentare da solo il mondo circostante, e torna periodicamente ad appoggiarsi alla mamma o al papà: fa rifornimento affettivo per poi continuare a esplorare ciò che lo circonda. Se in quella fase i genitori sbagliano a comprendere il riavvicinamento trattengono troppo a lungo il bambino che inizia a provare conflitto tra il bisogno di periodico rifornimento affettivo e il desiderio di esplorazione. Impariamo così che non si può stare lontani ma nemmeno vicini e passiamo il tempo della relazione in un conflitto tra il bisogno di rifornimento affettivo e il bisogno di distanza.
Questo conflitto interiore diventa facilmente un conflitto esterno: ti lascio, torniamo insieme, ci lasciamo, proviamo ancora, non possiamo stare insieme e così via, in una altalena che può durare una vita intera. Credo che sia per questo che ho imparato a buttarla sull’amicizia: così non mi allontano mai troppo ma nemmeno sto troppo vicina. Ovviamente ti chiederai se c’è una soluzione: crescere potrebbe essere una soluzione. Crescere e tollerare quel meraviglioso enigma che è la solitudine. Se impariamo ad amare la possibilità della solitudine, apprezziamo molto di più la possibilità di stare insieme. È anche per questo che chiudiamo gli occhi ogni giorno, durante la pratica: per allenarci ad essere fiduciosi della solitudine. Non possiamo eliminarla, possiamo coltivarla fintanto che diventa desiderio. È per questo che posso scriverti ogni mattina: perché coltivo la mia solitudine fino a che diventa desiderio di parlarti.
Ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere, e le sue parole rappresentano molti mesi, se non molti anni, della solitudine di un individuo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine. Un uomo solo è seduto in una stanza e scrive. Che parli di isolamento o di compagnia, di amicizia, il libro è necessariamente generato da una solitudine. Paul Auster
Pratica di mindfulness: Le parole di conforto. Meditazione live (Le meditazioni live sono state registrate durante il ritiro. Hanno suoni “sporchi”: quelli della vita)
© Nicoletta Cinotti 2019 Vulnerabili guerrieri: Ritiro di bioenergetica e mindfulness