Poco tempo fa ho letto un’intervista a Paul Ekman, uno dei più importanti scienziati nel campo della teoria delle emozioni. Era un’intervista personale, pubblicata sulla bella rivista Inquiring Mind. Paul Ekman è stato un pioniere in questo campo e ha condotto anche ricerche antropologiche per comprendere quali sono le emozioni di base, quelle che tutti gli esseri umani provano, indipendentemente dalla cultura di appartenenza.
Quello che mi ha colpito dell’intervista però erano due fatti personali (mi sembra che la luce filtri sempre dai fatti personali). Raccontava della sua difficile storia familiare e del terribile rapporto con il padre, eternamente in competizione con lui e molto svalutante. I bambini – spiegava Ekman – non comprendono bene le emozioni e, soprattutto, non sanno trattarle. Le incontrano prevalentemente dopo la nascita, in risposta alla relazione con l’ambiente umano e fisico. Così spesso è l’incapacità di regolare le emozioni provate che produce dei danni psicologici, più che l’evento in se e per se. Per questo è necessario insegnare ai bambini a trattare con le emozioni. In fondo questa è davvero la parte nuova del vivere. Nasciamo con una dotazione innata che si organizza sulla base delle nostre esperienze ma nessuno ci insegna come trattare le emozioni.
Ci insegnano come camminare, mangiare, parlare ma il mondo – intimo – delle emozioni è trattato come l’erba: cresce se piove e viene tagliata quando è alta. In realtà, proseguiva Ekman, la cosa più difficile per i bambini è stabilire la giusta relazione causa – effetto. Provano un’emozione, magari la sanno riconoscere ma attribuiscono una ragione sbagliata a quell’emozione. E continuano a credere a quella ragione per tutta la vita. E per tutta la vita quella relazione sbagliata causa – effetto condiziona le nostre risposte.
A quel punto l’intervistatore chiedeva ad Ekman del suo incontro con il Dalai Lama. Di quell’incontro a me è rimasta una parola: perdono. L’incontro con il Dalai Lama gli aveva aperto la possibilità di considerare il perdono nel rapporto con il padre (ormai morto da tanti anni). E questa emozione – davvero così intima, privata e sincera – aveva cambiato il suo modo di guardare a questa parte della sua storia personale. Come se, alla fine, fosse il perdono l’unica medicina per il ristagno emotivo creato dai traumi, dai blocchi di crescita, dagli arresti evolutivi che abbiamo incontrato nella nostra vita.
Così di quell’intervista mi rimane, come una pratolina piccola e delicata, solo una parola, privata e commovente: perdono.
Pratica di mindfulness: Meditazione sul perdono
© Nicoletta Cinotti 2016 Le radici della felicità
Foto di ©mduckitt
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