Spesso usiamo in modo intercambiabile le parole fiducia e fede. Eppure non lo sono, anche se condividono molti elementi. La fede ci chiede di riporre la nostra speranza in qualcosa che è oltre noi stessi.
La fiducia ci chiede invece di cercare in noi stessi l’intenzione, la motivazione per fare delle scelte. Si basa sull’apprendere dall’esperienza. Sulla relazione che c’è tra ciò che abbiamo sentito – emotivamente e fisicamente – e ciò che abbiamo compreso. Su un sentimento di apertura e disponibilità che non trattiene o seleziona a priori l’esperienza.
Va oltre noi stessi perché ci porta nel terreno della condivisione. L’apertura che la fiducia richiede infatti, ha, sempre, una risonanza relazionale. E ci fa andare al di là del nostro schema abituale di risposta, oltre il nostro pilota automatico, per dimorare nel nostro modo personale e unico di stare nell’esperienza.
Confondere fede e fiducia non rispetta nessuna delle due dimensioni. La fede è trascendenza, la fiducia immanenza. A volte usiamo la parola fede per pigrizia. Perché non vogliamo prenderci la responsabilità del passo che andiamo a compiere: imparare dalla nostra esperienza. Che non significa diventare creatori del mondo ma aver fiducia nell’esplorare il mondo che è stato creato.
Quando abbiamo fede nella pratica di mindfulness non le rendiamo onore. La appiattiamo dietro convinzioni che non siamo andati a misurare con la nostra vita. La fiducia ci apre e come tutte le aperture ci scuote con un fremito di timore e novità. Perché ciò che prendiamo ci forma ma ciò che lasciamo andare ci trasforma.
La qualità di presenza consapevole non è vuota o neutrale. La vera consapevolezza è permeata di calore, compassione e interesse. Cristina Feldman
Pratica di mindfulness: Il panorama della mente
© Nicoletta Cinotti 2015
Foto di ©Cathrine Halsor
Questo post è un estratto del libro “Destinazione mindfulness 56 giorni per la felicità” di prossima pubblicazione
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