
Qualche giorno fa ti raccontavo di come funzionano le emozioni e gli stati mentali. Ma tutte le storie hanno una successione di eventi e, una volta che abbiamo imparato a riconoscere il nostro stato mentale, possiamo imparare anche a capire come questo stato mentale diventa o può diventare un elemento del carattere. È una storia parecchio affascinante e te la racconto con un esempio. Facciamo l’ipotesi che nella tua vita ci siano stati diversi episodi sfavorevoli che si sono risolti. Questi episodi però hanno lasciato un filtro che tende a farti vedere quello che accade alla luce di questo filtro. Il filtro è lo stato mentale: se hai avuto difficoltà con le amicizie il filtro potrebbe farti essere particolarmente guardingo nelle nuove relazioni. Oppure se le esperienze sfavorevoli riguardano la vita familiare potresti essere piuttosto cauto nelle relazioni con i parenti. Fino a qui niente di strano: ti accorgi che parti un po’ prevenuto e che questo tentativo preventivo a volte condiziona il tuo modo di rispondere alle situazioni. A questo punto però, prevenzione per prevenzione, potresti iniziare a comportarti in un modo che realizza o favorisce proprio quello che temi. L’essere guardingo potrebbe attivare antipatie, l’essere cauto potrebbe ridurre la qualità e quantità dei contatti. A questo punto siamo sulla buona strada perchè uno stato mentale diventi un tratto caratteriale. Quand’è che uno stato mentale diventa carattere?
Qui interviene l’amico pilota. Per far prima attiviamo risposte automatiche che confermano lo stato mentale prevalente e, a quel punto, siamo entrati in pieno in una profezia che si auto-avvera: non mi fido, quindi gli altri non si avvicinano, quindi li vedo distanti e rafforzo l’idea che è meglio non fidarsi e così via. Il gioco è fatto come racconta magnificamente Paul Watzlavick.
Un uomo vuole appendere un quadro. Ha il chiodo, ma non il martello. Il vicino ne ha uno, così decide di andare da lui e di farselo prestare. A questo punto gli sorge un dubbio: e se il mio vicino non me lo vuole prestare? Già ieri mi ha salutato appena. Forse aveva fretta, ma forse la fretta era soltanto un pretesto ed egli ce l’ha con me. E perché? Io non gli ho fatto nulla, è lui che si è messo in testa qualcosa. Se qualcuno mi chiedesse un utensile, io glielo darei subito.
E perché lui no? Come si può rifiutare al prossimo un così semplice piacere? Gente così rovina l’esistenza agli altri. E per giunta si immagina che io abbia bisogno di lui, solo perché possiede un martello. Adesso basta! E così si precipita di là, suona, il vicino apre, e prima ancora che questo abbia il tempo di dire “Buon giorno”, gli grida: “Si tenga pure il suo martello, villano! Paul Watzlavick
Forse ti domanderai se questa storia può avere un happy end diverso. Sospendere il giudizio più a lungo possibile – praticando una pausa – per lasciare alla vita il tempo per raccontarci la verità!
Pratica di mindfulness: La sospensione del giudizio
© Nicoletta Cinotti 2021 Reparenting ourselves