
La nostra casa
è quella che il Buddha
chiamava l’isola del sé,
il luogo tranquillo dentro di noi.
Spesso non ci accorgiamo che è lì;
nemmeno sappiamo davvero
dove siamo,
perché il nostro ambiente
esterno o interno
è pieno di rumore.
Abbiamo bisogno di un po’ di quiete
per trovare quell’isola del sé. Thich Nhat Hanh
Nella pratica si parla spesso del “tornare a casa” come il ritorno alle qualità della mente originaria ma “l’isola del sé” di cui ci parla Thich Nhat Hanh è qualcosa di diverso. È quel luogo interiore di saggezza e serenità, in cui prendiamo rifugio ogni giorno durante la pratica.
Un po’ come succede nelle favole, è un luogo che può essere nascosto dai rovi della trascuratezza, dell’abitudine e dell’indifferenza ma esiste a prescindere da quanto spesso lo visitiamo.
Quello che facciamo con la pratica è tenere il percorso per quel luogo interiore più facile e accessibile, tenerlo come un appuntamento quotidiano, verso la nostra saggezza interiore, verso il nostro maestro interiore
Le buone idee non nascono mai da sole
Quando una teoria è buona non ha mai un solo promotore. L’idea che ci sia un'”isola del Sé” non è propria solo della tradizione buddista (anche se per alcuni di noi questo sarebbe più che sufficiente!).
Così nel 2007 Daniel Siegel, nel suo libro “The Mindful Brain” parla della ruota della consapevolezza come metafora della pratica di Mindfulness
Nel diametro esterno della ruota troviamo le impressioni sensoriali e tutto ciò che cattura la nostra attenzione.
Immaginando che la ruota sia come quella di una bicicletta, ogni raggio rappresenta un potenziale oggetto di attenzione e consapevolezza. Il mozzo centrale simboleggia la spaziosità della mente che può entrare in dialogo con i singoli oggetti d’attenzione, rappresentati dai raggi. Il mozzo può anche essere l’esperienza della ricettività verso tutto ciò che arriva nella mente in uno stato di consapevolezza aperta. Insomma, detto in termini neuro-scientifici, il mozzo rappresenta bene l’isola del Sé.
La cabina di regia: il maestro interiore
Circa quarant’anni fa Richard Schwartz iniziò a formulare la teoria del sistema familiare interiore. Una teoria che trasformava la logica diagnostica in modo radicale. Per Schwartz siamo stati vittime di un fondamentale errore diagnostico: identificare le persone con i loro disturbi clinici. Per cui una persona che soffriva di attacchi di panico veniva identificata con quella diagnosi senza che venissero adeguatamente considerati anche le risorse. Alla fine le persone diventavano il disagio che provavano a causa in una visione unitaria della mente e della personalità.
Se invece ipotizziamo che ogni sintomo e comportamento relativo è solo un aspetto di una sub-identità è possibile cogliere gli aspetti di risorsa personale che vanno al di là della patologia e riusciamo ad identificare la patologia come un tentativo di riportare salute e integrità. Insomma il disturbo clinico potrebbe essere visto come una forma di auto-cura che non funziona più bene ma che, nel momento in cui è sorta, è stata la soluzione migliore al problema che la persona stava affrontando. Il disturbo sarebbe una sorta di cicatrice: alcuni cicatrizzano bene e altri cicatrizzano male, formando cheloidi o segni troppo profondi.
Che fare con tutte queste parti? Non voglio banalizzare il lavoro di Schwatz ma nella sostanza lui dice che è necessario imparare a riconoscere quello che succede in una buona cabina di regia. Ossia quello che accade quando le parti concorrono, tutte insieme, al bene dell’individuo. In quel caso la persona sperimenta 8 qualità che sono: senso di connessione, compassione, creatività, coraggio, curiosità chiarezza, calma e fiducia in se stessi. Insomma le qualità che proviamo quando siamo nell’isola del Sé Come mai allora non corriamo tutti verso l’isola? Come mai non ci affrettiamo a riportare ogni parte di noi al centro, al Sé?

Che sia tutta paura?
Come mai possiamo avere resistenza a credere di avere un maestro interiore? Non è forse meraviglioso avere fiducia nella capacità di auto-cura e di auto-guarigione? Che cosa ci tiene lontano da questa idea?
Credo che siano diversi tipi di paura:
- la paura di essere indipendenti che è una forma di paura della solitudine. Quando stiamo male ritorniamo bambini (o forse si ammala proprio il nostro bambino interiore) e quindi tendiamo a rimetterci in uno schema di dipendenza in cui l’altro è essenziale per la guarigione. e deve essere dedicato in esclusiva proprio a noi. Curarsi da soli viene visto come l’iperbole della solitudine e non dell’autonomia positiva. E chi lo fa spesso si comporta così per sfiducia nei curanti più che per fiducia nelle proprie risorse.
- la paura della profondità che ci fa credere che mostri e draghi dormano dentro di noi e che per combatterli sia necessario un esercito ben armato!
- la paura della dissociazione. Veniamo da una cultura in cui l’integrazione è monolitica, e non la somma di più parti insieme. In realtà solo i traumi molto gravi portano una dissociazione di un aspetto della personalità. Ordinariamente abbiamo aspetti che teniamo nascosti o lontani per paura della disapprovazione e dell’esclusione dal nostro gruppo di riferimento.
- la paura di perdere il controllo. Se siamo un’identità unitaria con poche divergenze crediamo che sia più facile tenere le nostre emozioni sotto controllo e noi non amiamo affatto perdere il controllo.
- Infine la paura di essere rifiutati. In un mondo in cui l’idea di essere la somma di più parti non è ancora un’idea popolare, sentirsi in questo modo può suscitare la paura del rifiuto e della diversità. Insomma per molti l’inclusione è ancora un criterio che funziona solo se siamo perfetti e interi.
Incontrare il maestro interiore
Come fare per arrivare all’isola del sé, come fare per incontrare il maestro interiore? Come sempre la mappa non è il territorio e per ognuno di noi lo scenario può essere diverso ma alcuni passaggi possono essere comuni. Il primo passaggio è avere il coraggio di riconoscere le parti che compongono la nostra famiglia interiore o, se preferiamo, incontrare la nostra sofferenza anziché fuggirla. Avere il coraggio di guardarla in faccia senza scappare è tutto quello che ci serve. Riportare ogni parte al Sé e integrarla. Infine fidarsi del nostro maestro interiore, del nostro amico compassionevole, come si insegna nel Programma di Mindful Self-compassion.
Offrendo il dono del coraggio, si diventa coraggiosi. Bhikku Analayo
Una storia silenziosa
Nel libro, Il dono del silenzio, Thich Nhat Hanh racconta l’incontro con un soldato francese. Era arrivato al tempio di Bao Quoc durante la meditazione serale, cercando dei membri della resistenza vietnamita. Fecero irruzione nel tempio e malgrado facessero molto rumore il tempio rimaneva in silenzio. Nessun grido di paura, nessuna fuga: solo silenzio. Sapevano che c’erano molti monaci ma il silenzio era tale che sembrava disabitato.
Fecero irruzione nella sala di meditazione con clamore ma i sessanta monaci presenti non si mossero: continuarono la loro pratica, fino al suono delle campane. Alla fine della pratica un monaco uscì nel cortile, dove si erano spostati i soldati francesi, e li invitò a entrare. Il silenzio che avevano incontrato aveva fatto breccia più dei loro fucili, li aveva spinti ad aspettare fuori, nel cortile e uno di loro divenne amico di Thich Nhat Hanh. Ecco quella scena non riguarda solo i monaci e nemmeno i vietnamiti. Quando pratichiamo le nostre difese possono fare irruzione in molti modi. Possono renderci irrequieti, spaventarci, tentare di convincerci a fuggire. Coltivando il coraggio del silenzio e dell’immobilità, coltiviamo l’isola del Sé dove si trova il nostro maestro interiore. Di quello abbiamo bisogno: di incontrarlo. E, se davvero abbiamo bisogno anche di un aiuto esterno, sarà così saggio da dircelo, abbracciando la nostra vulnerabilità senza scandalo.

Due progetti per coltivare il maestro interiore
Sostenere l'insegnante interiore
Forse avrai avuto anche tu la fortuna di incontrare dei buoni insegnanti e la sorte di incontrare dei cattivi insegnanti. I buoni insegnanti erano in grado di farti studiare la loro materia anche se non ti piaceva particolarmente perché sapevano appassionarti e ti trasmettevano la stessa passione e lo stesso entusiasmo. I cattivi insegnanti ti trasmettevano delle nozioni, magari anche più nozioni ma senza risvegliare la passione per lo studio. Cos’è che fa la differenza tra questi due tipi di insegnanti? hanno lo stesso titolo di studio, ma non la stessa efficacia nell’insegnamento.
Questo vale per tutte le discipline, anche per i protocolli mindfulness. Finora ci siamo occupati dell’efficacia della mindfulness nelle diverse popolazioni ma siamo sicuri che sia ininfluente il ruolo dell’insegnante? Non vorresti scegliere un insegnante che ti comiunichi la sua stessa passione e non solo la pratica di mindfulness?
Per questo le Università di Bangor, Exter e Oxford hanno approntato il programma MBI-TAC. un programma che si rivolge agli istruttori mindfulness per sostenere lo sviluppo del loro insegnante interiore, per far crescere la loro capacità di comunicare non solo la mindfulness ma anche la passione per la pratica. Se vuoi saperne di più clicca qui
Un cuore coraggioso
Ci vuole coraggio per rimanere immobili e in silenzio mentre tutto nel mondo e nella nostra vita ci urla di scappare, di trovare soluzioni rapide e immediate.
Quel coraggio però è fondamentale per riportare integrità nella nostra vita e per coltivare la nostra saggezza interiore, il nostro amico compassionevole.
In questo ritiro l’intenzione sarà proprio quella di sviluppare la nostra capacità di stare con coraggio di fronte al nostro dolore e consolarlo perché la gioia è possibile sempre e non è il premio per la fine del dolore.Se vuoi saperne di più o partecipare al Ritiro che si terrà il 7-9 Ottobre, clicca qui
La pratica gratuita
La pratica gratuita del lunedì mattina prosegue e domattina alle 8 sarà dedicata al Maestro interiore.
Per partecipare live è suffciente connettersi alle 8 su Zoom seguendo questo link.
https://us06web.zoom.us/meeting/register/tZMpc-qsqTssHN299Vf0_vSiwYTSGLPVt5h0
La pratica sarà successivamente caricata sul mio canale YouTube
© Nicoletta Cinotti 2022