
C’era una volta una giovane guerriera. Il suo maestro le disse che doveva combattere con la paura. Lei non voleva, le sembrava troppo aggressiva; era terrificante; pareva ostile. Ma il maestro le disse che doveva farlo e le diede le istruzioni per la battaglia. Giunse il giorno. L’allieva guerriera si mise da un lato, la paura dall’altro. La guerriera si sentiva molto piccola, la paura le appariva enorme e arrabbiata. Entrambe erano armate. La giovane guerriera si scosse e andò incontro alla paura, si inchinò tre volte e chiese: “Posso avere il permesso di combatterti?”. La paura rispose: “Grazie per avermi mostrato così tanto rispetto da chiedermi il permesso”. La giovane guerriera allora chiese: “Come faccio a sconfiggerti?”, al che la paura rispose: “Le mie armi sono queste: parlo velocemente e arrivo vicinissima alla tua faccia. Così tu ti innervosisci e fai tutto quel che ti dico. Se tu non fai quello che ti dico, io non ho alcun potere. Puoi ascoltarmi, puoi rispettarmi. Puoi persino farti convincere da me. Ma se non fai quello che dico, io non ho alcun potere”. Così, l’allieva guerriera imparò a sconfiggere la paura. (Trovi questa storia in Pema Chodron, Se il mondo ti crolla addosso)

La vulnerabilità
Molto spesso ragioniamo intorno alla paura o all’ansia che succeda qualcosa di male e ci dimentichiamo che la prima cosa che ansia e paura ci fanno fare è scappare. Scappando siamo convinti di metterci in salvo e invece ci mettiamo in pericolo, alimentando la sensazione che ci sia qualcosa che non va nella nostra vita. È automatico scappare anche se sappiamo che quasi mai è la scelta giusta. Quando siamo in pericolo avremmo bisogno di fermarci e scegliere. A volte basterebbe anche solo fermarci per scoprire che quella paura è un fenomeno transitorio che nasce dal sorgere di un sentimento di vulnerabilità. Se è vero che il dolore è fondamentale per il sorgere del sentimento della compassione è altrettanto vero che la vulnerabilità è essenziale per il sorgere del coraggio. Scappare dal dolore e dalla vulnerabilità ci rende solo più crudeli e più paurosi. Ci avvolge nell’illusione che ci sia un luogo, un altrove, dove le cose sarebbero migliori. Un luogo che, invece, scopriamo essere franoso e inesistente appena ci arriviamo. Non varrebbe quindi la pena di fermarsi alla vulnerabilità per far nascere coraggio e compassione?
Il comfort dell’accettazione
Possiamo scegliere tra il coraggio e la comodità, ma non possiamo avere entrambi e non allo stesso tempo. Essere vulnerabili non significa vincere o perdere, bensì avere il coraggio di scoprirsi, di essere visti – e di vedersi – per come si è, senza alcuna garanzia sui risultati. Essere comodi invece può voler dire anestetizzarsi in qualche modo. Molto spesso usiamo modi semplici per fare anestesia. Comprare qualcosa, mangiare, fumare, guardare una serie televisiva, distrarsi. In alcuni casi usiamo anche “armi chimiche” per sedare ansia e paura. Tutti questi sedativi hanno un effetto: intorpidiscono e tolgono lucidità. Perché la paura sorge nel momento in cui tocchiamo la verità. In quel momento se non scappiamo abbiamo accesso ad un tipo di comfort speciale: il comfort dell’accettazione, quando riconosciamo che le cose stanno proprio come stanno e che non c’è nessun luogo in cui scappare. Anzi, casomai, dovremmo tornare indietro. La vulnerabilità non è una debolezza, ma la più grande dimostrazione di coraggio. Coraggio non significa aspettarsi qualcosa di alto o difficile. Significa entrare nelle situazioni con apertura, con l’intenzione di accogliere quello che incontreremo con integrità e forza. Quello che sostiene un cuore coraggioso è il senso dell’esplorazione.

La fiducia è amica del coraggio
Avere fiducia in ciò che accade non è uno slogan ma una misura della nostra disponibilità a darci credito, a investire su di noi e sulle nostre potenzialità senza anticipare gli eventi e senza procrastinarli. La fiducia, infatti, è amica del coraggio ma ha due nemici: l’anticipare e il procrastinare.
Quando anticipiamo le cose lo facciamo perché non abbiamo la fiducia di aspettare: lo facciamo convinti che questo eviti la catastrofe. In realtà aspettare vorrebbe dire s-coraggiarci e allora, per non s-coraggiarci, facciamo uno, due, tre passi avanti rispetto a dove siamo davvero. Facciamo il passo più lungo della nostra gamba per paura che il nostro procedere non sia adeguato.
Quando procrastiniamo cerchiamo invece di imporre i nostri tempi, la nostra volontà, come se fossimo il regista di tutte le azioni. In realtà dietro il procrastinare dichiariamo – implicitamente – la nostra ansia del fallimento, la nostra paura dell’imperfezione. Quello che ci fa passare un’intera vita ad aspettare il momento giusto. Un momento giusto che rischia di arrivare troppo tardi.
La fiducia ha bisogno della nostra pazienza – perché non tutto accade quando vogliamo noi – del nostro coraggio e della nostra voglia di giocare. Perché sbagliare non significa che non meritiamo fiducia. Significa che stiamo imparando. E imparare non è un compito ma un gioco che nutre il nostro interesse e la nostra curiosità per la vita. E se siamo disponibili ad imparare siamo – senza condizioni – meritevoli di fiducia.
Il coraggio ha il potere di trasformarci
Il coraggio, per quanto raro, ha il potere di trasformarci. alla fine della nostra giornata, ciò che davvero abbiamo fatto è dipendente dal coraggio e non dalla paura.
Per quanto grande sia la nostra paura il coraggio è quello che ci spinge fuori di casa, che ci sostiene, che ci accompagna ogni volta che pratichiamo. E anche quando non pratichiamo.
Ogni giorno facciamo una dichiarazione di coraggio. Ed è così quotidiana questa dichiarazione che la diamo per scontata, ed è così forte che non ha bisogno di essere urlata. Il coraggio, infatti, lo incontriamo più spesso nel silenzio che nel rumore delle parole.

E’ la trama delle nostre giornate, una musica di sottofondo. Che abbiamo bisogno di riconoscere: non ci servirà a nulla misurarci sulla base della nostra paura, delle nostre limitazioni. Abbiamo bisogno di quell’aspirazione alla crescita che dichiara il coraggio. È il nostro coraggio che ci ha fatto crescere e non la nostra paura.
Gli elementi della trasformazione
Se siamo sufficientemente coraggiosi prima o poi falliremo: succede perché abbiamo provato, non perché siamo difettosi. Il nostro coraggio sa che il fallimento è solo un’occasione per imparare e il nostro fallimento contiene l’energia della riparazione che nasce quando abbiamo imparato quello che avevamo da imparare. Il coraggio ci chiede di imparare a destreggiarsi fra il desiderio di voler tornare indietro all’attimo che precede il rischio e la caduta e la voglia di andare avanti e mostrare ancora più coraggio. Come dice Pema Chodron avere coraggio è stare sull’orlo senza cadere nel baratro.
“L’impermanenza diventa qualcosa di vivido nel momento presente, e la stessa cosa succede con la compassione, la meraviglia, il coraggio. E la paura. Perché chiunque si trovi sul ciglio dell’ignoto, completamente nel presente senza un punto di riferimento, prova la sensazione che gli manchi la terra sotto i piedi. È allora che la nostra comprensione si fa più profonda, quando noi scopriamo che il momento presente è un luogo piuttosto vulnerabile e che ciò può essere contemporaneamente terribile e dolcissimo.” Pema Chodron, Se il mondo ti crolla addosso
Quindi la prossima volta che incontriamo la paura guardiamola bene negli occhi perché dietro di lei sta il nostro coraggio. La compassione è lo strumento che ci permette di educare al coraggio e alla gentilezza d’animo: questa è la trasformazione che avviene se smettiamo di fuggire, di evitare, di procrastinare.
Così quando parliamo di coraggio sarebbe davvero importante capire dov’è che abbiamo paura. Perché a volte la paura è un pensiero che attraversa la mente, a volte un fremito che occupa il cuore, a volte una sensazione fisica: luoghi diversi e risposte diverse. Potremmo scoprire così che il corpo non avrebbe paura se la mente non instillasse il pensiero della catastrofe. Perché il corpo è animale che da molto tempo è assoggettato alla fiducia che la mente sappia più di lui. Se permettiamo alla nostra mente di proliferare con pensieri di paura, prima o poi anche il corpo si spaventerà a morte. Così, se soffriamo di paura cronica guardiamo con coraggio ai pensieri che l’attraversano – intrusivi, automatici, ripetitivi. Potremmo scoprire che la nostra paura nasce dai nostri pensieri che scorrono e convincono il corpo che c’è un pericolo.
L’uomo porta dentro di sé le sue paure bambine per tutta la vita. Arrivare ad non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo. Italo Calvino

Ci facciamo coraggio insieme
Vorremmo credere che l’eroe sia coraggioso e solitario ma se leggiamo bene la storia l’eroe non è mai tale solo per sé stesso. Salva sempre qualcuno. Perché il coraggio ha bisogno di compagnia. Leggere storie di coraggio, raccontare i nostri atti di coraggio, coltiva questo stato d’animo e ci aiuta a integrare le situazioni difficili della nostra storia. Non siamo mai i soli a essere in difficoltà, mai i soli a essere coraggiosi. Condividere ci fa sentire vivi e ci ricorda che la paura più grande è quella che condividiamo tutti: è la paura di morire. Una paura che esorcizziamo raccontandola: mai come adesso condividiamo la storia delle nostre malattie, che si sia famosi o sconosciuti sappiamo che raccontarle ci dà fiducia. Che mostrarsi vulnerabili è il primo passo per tornare dove abbiamo iniziato: al coraggio di nascere. E nascere una volta sola non basta. Ogni volta che abbiamo paura abbiamo la possibilità di rinascere. In quel momento sta a te scegliere se nascere o morire dalla paura.
© Nicoletta Cinotti 2022
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