
Immagina di essere su una barca e di accorgerti, dopo qualche ora di navigazione, di essere sulla rotta sbagliata. Verifichi bene le carte nautiche e scopri che è proprio così: non c’è altro da fare che correggere la rotta per andare nella direzione che avevi scelto e arrivare a destinazione, magari con qualche ora di ritardo. Certo potremmo rimproverarci per essere stati distratti ma la maggior parte della nostra energia andrebbe nella direzione di riparare l’errore. Questo è quello che accadrebbe in mare. Succederebbe la stessa cosa anche se fossimo in macchina ma il mare è proprio come la vita. Non abbiamo cartelli che indicano la direzione nelle nostre giornate. Proprio come non abbiamo frecce che indicano i porti quando siamo in mare. Per navigare dobbiamo controllare le carte nautiche. Per andare avanti dobbiamo guardare dentro di noi e verificare più volte se la direzione è proprio quella che volevamo prendere.
Solo che qui interviene spesso un elemento di novità. Se in mare siamo disposti a correggere la rotta, nella nostra vita, anche quando ci accorgiamo di aver preso una direzione sbagliata, facciamo fatica ad aggiustare il tiro. Perché vorrebbe dire ammettere, con noi stessi prima che con gli altri, di aver sbagliato. Oppure prendere atto che le mutate condizioni richiedono scelte e direzioni diverse. Forse quella direzione era giusta ma il tempo è mutato, il mare è cambiato e procedere nella stessa direzione rischia di essere un atto di ostinazione più che di tenacia. Così proseguiamo contro ogni evidenza per non ammettere che è un errore andare avanti. Neghiamo i segnali che ci farebbero capire che cosa sta succedendo, evitiamo le persone che potrebbero consigliare di tornare indietro. Procediamo dritti per la nostra strada come se fosse quella giusta. A volte non siamo consapevoli di aver sbagliato ma molte volte lo sappiamo benissimo e facciamo finta di niente. Perché ci è difficile ammettere che le cose possano cambiare sotto i nostri occhi e che la nostra rotta debba cambiare per le mutate circostanze.
Ecco perché credo che l’errore vada assolutamente smitizzato: solo se considereremo l’errore parte integrante del percorso potremo imparare dai nostri errori, correggerli o ripararne le conseguenze. Solo se considereremo l’errore un segnale della necessità di essere sintonizzati sul cambiamento potremo riderci sopra con lo stesso leggero divertimento che abbiamo per gli errori dei bambini. L’errore svela un mondo di possibilità e una riserva di nuove opportunità se non lo neghiamo. Se invece lo trasformiamo ostinatamente nella giusta direzione conduce esattamente nel luogo che vorremmo evitare: conduce nella terra dei guai. Se lo consideriamo una opportunità di conoscenza, ogni errore diventa una nuova scoperta, una terra promessa.
La qualità dinamica dell’esperienza fornisce l’oggetto della pratica: il cambiamento stesso. Confida nell’emergere non è che un invito a tuffarci a capofitto nel precipitare del momento, offrendoci orientamento per come relazionarci l’un l’altro e alla totalità dell’esperienza. Confidare implica l’atto di piena fiducia necessario per immergerci nel mare ribollente del cambiamento. Emergere si riferisce al processo attraverso il quale le cose complesse che sperimentiamo emergono spontaneamente da un insieme di cause soggiacenti. Gregory Kramer
Pratica di mindfulness: La meditazione del fiume
© Nicoletta Cinotti 2019 Verso la self compassion ovvero come imparare a volersi bene