Fa parte della esperienza umana sperimentare il sentimento della solitudine. La proviamo tutte le volte in cui facciamo un passo fuori dal coro. Tutte le volte in cui permettiamo alla nostra voce di cantare da sola. Di intonare la propria melodia.
Abbiamo bisogno di questa esperienza perché la nostra creatività non può accettare il silenzio espressivo. Così, con una frequenza diversa da persona a persona, facciamo qualche passo fuori dal nido, fuori dalla comfort zone, fuori dal conosciuto. Esperienze benedette che rendono il nostro mondo più ampio e vario. Esperienze che rendono tutto il mondo più ampio e vario.
In questi passi di distanza possiamo provare nuove emozioni, sperimentare eccitazione e paura, eppure scegliere di andare avanti. Se questi passi nascono dalla forza espressiva della nostra creatività non ci lasceranno soli. La nostra voce richiamerà l’autenticità di altre voci e tornerà il tempo della condivisione.
A volte però temiamo la solitudine perché la confondiamo con l’isolamento e con la punizione. La confondiamo con l’essere rifiutati e con il non appartenere. E allora scegliamo di conformarci per non cadere in questo sentimento. Ma l’isolamento, il primo isolamento, nasce proprio qui: quando scegliamo di isolare la nostra voce, per cantare solo nel coro.
Permettersi degli assolo è necessario per vivere l’autenticità della nostra esperienza. Avere solo brani solisti è declinare, invece, il suono del nostro isolamento.
Sentirsi abbandonati è negare l’intimità che ci circonda. Sicuramente anche tu avrai udito, qualche volta, un richiamo, un crescendo di presenza e un coro che lasciava la tua voce sola. Prendi nota di ciò che questo percorso scivoloso ti permette e di ciò che ti concede la libertà. David Whyte
Pratica di mindfulness: Centering meditation
© Nicoletta Cinotti 2016 Cambiare diventando se stessi
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