
Arthur Rubinstein è stato un grande pianista. Una volta, durante un’intervista, gli chiesero come facesse a muoversi così bene tra le note dello spartito, con così tanta eleganza ed espressività. Lui rispose d’impulso: non credo di suonare le note meglio di tanti altri. Ma le pause aah, quelle sì, è lì dove dimora l’arte.
Forse potremmo dire lo stesso per tante altre cose che prendono valore nello spazio vuoto tra l’una e l’altra. Il fuoco brucia se, tra un legno e l’altro, c’è uno spazio dove può respirare. Il nostro stesso respiro è tanto più efficace tanto più è lunga e libera la nostra espirazione, l’atto del vuoto. E ogni respiro ha una pausa inspiratoria e una pausa espiratoria.
Molto spesso è Il silenzio che dà il significato alle parole. È la pausa che realizza il senso di ciò che avviene o che è avvenuto mentre siamo nella corsa delle nostre giornate. Non a caso ci fermiamo di fronte alla nascita e di fronte alla morte, in una specie di contemplazione. Onoriamo così – con un semplice gesto di pausa – l’inizio e la fine.
Eppure la pausa sembra essere una delle attività più complesse delle nostre giornate. Prendersi una pausa tra una attività e l’altra, tra una corsa e l’altra è quello che avremmo bisogno di fare per passare dalla nostra incessante modalità del fare all’altra nostra modalità, quella contemplativa, alla modalità dell’essere.
Non riusciamo a farlo non per ragioni di tempo: passiamo tanto tempo in attività che potrebbero, a buon diritto, essere di pausa. Non riusciamo a farlo perché le nostre modalità difensive ci spingono all’azione. Non ci rendiamo conto che molte delle nostre azioni non hanno una ragione effettiva se non quella difensiva. Facciamo qualcosa per prevenire qualcosa d’altro; facciamo qualcosa d’altro per dare risposta ad una difficoltà. Senza riporre abbastanza fiducia nel fatto che la soluzione può nascere dalla contemplazione, anziché dall’azione. Siamo convinti che l’azione sia sempre la risposta giusta. Eppure, se pensiamo alla relazione con le persone che amiamo, spesso è nella pausa che possiamo incontrarci, capirci e trovare risposte a domande che vengono solo complicate dalla nostra incessante attività.
E il pensiero è una delle attività più turbinose delle nostre giornate. Non è contemplazione anche se lo facciamo immobili: è l’azione più intensa del nostro sistema difensivo: pensare.
C’è una enorme ansietà che ci spinge a pensare e che rende questa azione incessante. La paura che qualcosa vada male, la paura di perdere il controllo, la paura di perdere qualcosa o qualcuno. È quell’ansia che ci spinge, quella misteriosa inquietudine che combattiamo durante tutto il giorno e anche durante la notte: la paura di non essere pronti. Eppure queste paure e queste ansie sono così intangibili e misteriose che le azioni che portiamo avanti per combatterle non possono che essere cieche se non ci fermiamo.
La pausa non è niente di mistico o complicato: si tratta di creare uno spazio di leggerezza. Uno spazio e un tempo in cui cessare le nostre attività orientate ad un obiettivo e lasciar fiorire la nostra vita. Perché la nostra vita, per fiorire, ha bisogno di una pausa.
Non pensare a niente
è avere l’anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita…Pessoa
Pratica di mindfulness: Spazio di respiro di tre minuti
Pratica informale di mindfulness: oggi fai una pausa tra un’attività e l’altra: per onorare il fatto che hai finito qualcosa. Per onorare il fatto che stai cominciando qualcosa di nuovo. Bastano tre respiri senza fare nient’altro, giusto fiorire. Per la soddisfazione di assaggiare il momento presente
© nicoletta cinotti 2018 Il protocollo MBCT
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