Non credo che ci sia una parola che sento più frequentemente di “pressione”. Sono sotto pressione, oppure mi metto sotto pressione. Anche “ho un senso di pressione al petto, al torace, alla testa“.
A volte la pressione arriva dalle relazioni “I miei genitori mi mettono sotto pressione“, “Il mio capo mi mette sempre sotto torchio (Che pressione!)” e così via. In genere la prima richiesta, forse ovvia, che mi viene fatta è di fare qualcosa perché questa pressione si riduca.
All’inizio è abbastanza facile ridurre la pressione. In termini fisici è semplicemente tensione muscolare e quindi, se si lavora per ridurre la tensione muscolare, anche il senso di pressione e oppressione, diminuisce. E torna. Più e più volte.
Perché questa pressione è il segno del bozzolo che è diventato stretto. Che non è più adatto alla nostra nuova dimensione. Se rimaniamo nel bozzolo dovremmo abituarci all’idea di convivere con questa sensazione molto a lungo, forse tutta la vita.
Allora ci convinciamo a rimanere nel bozzolo perché abbiamo paura ad uscire. Troppo pericoloso, troppo freddo, troppo caldo, troppo costoso. Troppo. La stessa cosa che disse la farfalla prima di uscire e volare. Poi uscì e si dimenticò della fatica che aveva fatto. Proprio come la mamma si dimenticò di quanto era stato difficile partorire. E il bambino si dimenticò del buio che aveva attraversato per nascere.
La pressione ci indica la strada verso la nascita di qualcosa di diverso.
Ci deliziamo della bellezza della farfalla ma raramente ci ricordiamo i cambiamenti a cui ha dovuto sottostare per raggiungere quella bellezza. Maya Angelou
Pratica del giorno: La classe del mattino
© Nicoletta Cinotti 2017 Verso un’accettazione radicale
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