
Sono nata in una paese che, negli anni della mia infanzia, conosceva il furore della villeggiatura italiana. Gli italiani avevano iniziato a viaggiare, spostandosi di poche centinaia di chilometri. Venivano qui a gustare il fresco dell’estate e il verde della montagna. Una prosperità durata una ventina d’anni. Poi sono arrivate le agenzie di viaggi, i pacchetti vacanza; le ferie sono passate da un mese ad una/due settimane qua e là nel mondo. E tutta quella prosperità si è progressivamente affievolita. In parte riconvertita, in parte è diventata un deposito di ricordi. Non mi piace guardare il vecchio Cinema che è diventato un edificio spettrale e nemmeno i tanti cartelli con su scritto Vendesi. Proporrei una legge veloce contro i cartelli con su scritto “Vendesi”: gli oggetti hanno un’anima e non posso essere usati e poi venduti e esposti al pubblico sguardo senza nessun pudore. Scriverei una poesia per difendere le case dai cartelli “Vendesi”. Proporrei qualcosa come “Sono stata molto amata”. Oppure “Ho fatto crescere tre generazioni: vuoi iniziare qui una nuova vita?”, “Non tutti sono stati felici ma tutti qui hanno trovato riposo”. Non so se qualche agenzia immobiliare vuole seguire questo esempio: lo apprezzerei.
L’esempio della parola “Vendesi”
Quello che ho appena raccontato è come una parola di uso comune può diventare carica di significati diversi e di associazioni collaterali. Ho fatto una ironica petizione contro il cattivo uso delle parole nei confronti degli oggetti ma in realtà la vera petizione dovrebbe essere fatta a favore di un buon uso delle parole. In particolare delle parole che rivolgiamo a noi stessi. Siamo molto inconsapevoli rispetto all’effetto delle parole che ci diciamo. Lasciamo che ci sia una sequela continua di commenti e li riteniamo cosa da poco. Non è così e ormai questo è detto da più parti a gran voce. L’autocritica fa male: lo sanno i giocatori, i corridori quanto dirsi “non ce la faccio più” può essere convincente. E quanto la mente influisca sui risultati sportivi. È per questo che nelle attività di resistenza – quelle in cui conta la testa più dei muscoli – i migliori risultati sono ottenuti da persone over 40. Perchè quando la potenza del muscolo è meno esplosiva la differenza la fa la mente.
[box] Le persone tanto fortunate da non morire giovani hanno il privilegio di invecchiare con regolarità, cosa di cui dovrebbero essere grate. Murakami Haruki[/box]
Oltre alle parole: la coerenza narrativa
La nostra mente ha una sua grammatica e una sua sintassi. Per esempio non conosce la locuzione “non“. Dire “non voglio perdere” per il nostro inconscio ha il significato di “voglio perdere” perchè quel non è in-compreso. Nessuna negazione funziona nella grammatica della mente. Funzionano solo le affermazioni, così tutte le volte che ci parliamo usando una negazione, il nostro inconscio fa pochi discorsi e lo trasforma in una affermativa. In questa bislacca grammatica della mente mancano anche i tempi passati: i ricordi si ri-attualizzano attraverso le emozioni che proviamo. Il vecchio cinema decadente diventa un insieme di situazioni presenti, anche se riguarda avvenimenti passati. O meglio razionalmente sappiamo che è passato ma emotivamente ha un impatto presente.
A questo dobbiamo aggiungere che la nostra mente odia l’incoerenza narrativa. E risolve il problema a modo suo, con la generalizzazione. ossia se diciamo “non voglio perdere” rispetto ad una maratona, la frase viene tradotta con “voglio perdere” e, giusto per mettere un po’ di ordine, nella mente diventa, “perdo sempre” oppure ” sono un perdente”.
Le interpretazioni e la coerenza narrativa
Per questa ragione le interpretazioni psico-analitche dei nostri comportamenti possono essere una vera e propria arma a doppio taglio. Io sono stata – faccio solo una ipotesi (tranquilli) – una bambina trascurata e per questo sono diventata una donna abbandonica. A quel punto tutto quello che faccio viene letto alla luce di questa storia e acquisisce una coerenza narrativa nella nostra mente. E, purtroppo, nei nostri comportamenti. Tante volte infatti non facciamo qualcosa di nuovo perchè preferiamo rimanere interiormente coerenti. E tutto quello che facciamo viene etichettato alla luce della storia interpretativa che abbiamo costruito. O, peggio ancora, che la nostra psicoterapia ha costruito.
Dopo di che ci lamentiamo perchè facciamo sempre le stesse cose e niente cambia nella nostra vita. Perchè non smettere di raccontarsi le stesse storie?
Smettere di raccontarsi le stesse storie
Una buona idea per cambiare potrebbe essere quella di smettere di raccontarsi sempre le stesse storie. Come fare? Ogni volta che ci rendiamo conto che Radio Non Stop Thinking sta trasmettendo la millesima replica della stessa serie nominiamo quello che sta succedendo. Ripetiamo mentalmente “sto pensando che sono un perdente (…una merdaccia, un abbandonico, un seduttore, un gambler…e così via)” e poi aggiungiamo ancora un gradino di distanza “noto che sto pensando che….” e guardiamo che cosa succede nel corpo man mano che prendiamo distanza dall’identificazione con i nostri pensieri: si apre un diverso panorama e una maggiore libertà.
Dobbiamo creare una nuova ecologia delle parole. Ritrovare parole antiche e inventarne di nuove, se necessario. Alberto Simone
Non basta farlo una volta, e nemmeno due. Bisogna farlo ogni volta che la nostra mente trasmette una vecchia storia. Per lasciare le vecchie storie ci vuole un quaderno nuovo.
[box] Intendo aprire un quaderno nuovo, una boccetta d’inchiostro nuova e scrivere parole nuove. Murakami[/box]
Perché scrivere la mente
I pensieri sono come la sabbia. Da bambina volevo andare in spiaggia con i calzini perchè la sabbia tra le dita dei piedi mi era insopportabile ( ero un po’ nevrotica). Ho messo diverse estati ad accettare che la lotta contro la sabbia ha un solo vincitore: la sabbia. Appena ho potuto sono andata sugli scogli. Ecco i pensieri sono come la sabbia: li trovi anche nei punti più impensabili e non si possono combattere con altri pensieri. Non funziona. Trovi la sabbia nella borsa del mare anche quando la metti via a fine estate. I pensieri hanno due antagonisti naturali. L’antagonista della sabbia è lo scoglio. L’antagonista dei pensieri è il corpo. Come aumenti il volume del corpo abbassi il volume dei pensieri. Non basta però (anche perché la prospettiva di diventare muscolosi decerebrati non è certo avvenente). L’altro antagonista è la presenza, la consapevolezza. Tutto quello che ci rende consapevoli aiuta. Essere consapevoli non è una passeggiata da ragazzi. Qui uso ancora Murakami: essere consapevoli è come fare una maratona. Moltissime volte ti dici “non ce la posso fare”. E quello che fa la differenza è continuare. La regola di Murakami è fare una maratona – o una ultramaratona – senza camminare: solo correre. La mia regola è, per quanto la mente vaghi, riportarla a casa, al corpo. Senza dirmi, cavolo come sto vagando ma apprezzando ogni volta che torno al corpo, a casa.
In tutto questo a me servono tanto gli ancoraggi e la scrittura per me è un ancoraggio come il corpo e come la presenza. Perché? Perché mi svela con più onestà cosa sta nella mia mente.
[box] Mentre scrivo penso, come probabilmente fanno tutti gli scrittori di professione. Non è che metta per iscritto le cose che ho pensato, le penso mentre le scrivo. Le mie idee prendono forma nell’atto stesso di scrivere. Murakami[/box]
Il registro narrativo e quello poetico
Così ho scoperto che le parole della mente hanno due registri: quello narrativo e quello poetico. Come dice Donatella Bisutti non esiste una poesia senza metafora, perchè il registro poetico parla delle sensazioni. Quando siamo dentro una sensazione attiviamo il registro poetico della mente. Poi mettiamo insieme le sensazioni e costruiamo una storia. A volte siamo pigri e riprendiamo storie già costruite – ti ho spiegato sopra perchè questo sarebbe da evitare – in ogni caso quando costruiamo storie usiamo un diverso registro narrativo che segue le leggi della logica e, se non tolleriamo l’incertezza, forziamo la logica con le nostre spiegazioni. Adoro i paranoici: hanno spiegazioni fantastiche per qualsiasi cosa. Peccato che ci credano solo loro. Quanta paura abbiamo determina quante spiegazioni fantastiche usiamo. In ogni caso se scriviamo è come se facessimo un foto della nostra mente (tipo Risonanza magnetica) e avessimo un ancoraggio e un elemento di distanza e dis-identificazione in più. Coltiviamo il fatto che siamo in un processo e che non scriveremo mai due volte esattamente la stessa storia.
Rupi Kaur e Marzia Sicignano
Negli ultimi tempi la scrittrice indo-canadese Rupi Kaur ha avuto uno straordinario successo, inizialmente solo social (Instagram) e poi anche attraverso la pubblicazione dei suoi libri. Marzia Sicignano è un’altrettanto giovane italiana che le assomiglia molto (forse troppo). Cosa c’entrano? Mischiano i registri narrativi e poetici e la storia è raccontata a frammenti con le connessioni lasciate al lettore ma non esplicitate dallo scrivente. Proprio come funziona la mente! Perché hanno tanto successo? Colgono una trasformazione in atto nella nostra psiche (che è storica). Siamo sempre più a fotogrammi e la continuità è fatta di attimi di esistenza. Esistere, anche solo in un momento, ci permette di essere felici anche nel più oscuro angolo delle nostre giornate. Insomma se stiamo nel registro poetico e lasciamo che la narrazione nasca dall’insieme dei frammenti sensoriali, la storia che scriviamo è piena di attimi di felicità, indipendentemente dal contesto.
Come dice Alberto Simone “Cambia le tue parole e cambierai la tua vita.”
© Nicoletta Cinotti 2018
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