Essere contenti è una esperienza di soddisfazione e pienezza. Meno intensa dell’entusiasmo ma spesso più duratura, ha il gusto dell’appagamento, dell’essere pienamente dentro all’esperienza. A volte potremmo dire che essere contenti ha anche un sapore, tanto è una emozione che riguarda il corpo.
Accontentarsi invece ha un altro sapore: non è quello dell’accettazione ma quello della rinuncia. Volevo andare fino a là ma mi accontento di essere arrivato qui. Stranamente è una diminuzione della contentezza perché ha in sé un elemento di paragone. Accontentare aggiunge a questa diminuzione della contentezza un elemento di sacrificio. Non faccio questo per me ma per rendere soddisfatto te. E per farlo mi metto da parte. Metto a lato le mie motivazioni e necessita. Nè accontentarsi né accontentare rendono felici: anzi affermano una necessaria accettazione di una quota di infelicità e di assenza dal momento presente.
Eppure pratichiamo molto spesso sia l’accontentarsi che l’accontentare. Li pratichiamo perché paragoniamo la nostra vita a quello che vorremmo che fosse, perché non crediamo nelle nostre potenzialità, perché, alla fine, non amiamo rischiare di essere felici. Preferiamo la sicurezza – anche piccola – che è definita dall’accontentarsi, all’apertura delle possibilità. E in questo modo però, giorno dopo giorno, rischiamo di perderci. Di perdere l’ispirazione, di non creder in noi e nella possibilità delle nostre aspirazioni. Accontentarsi non è accettare. L’accettazione è contentezza o consapevolezza. Accontentarsi e accontentare è dare un sostituto alla felicità. Accontentare declina il verbo perdersi: perdere di vista chi siamo e la direzione del nostro andare.
Ricordate che l’accettazione del momento presente non significa rassegnazione di fronte alla situazione contingente. Si tratta semplicemente di una chiara ammissione del fatto che ciò che accade, accade. Jon Kabat Zinn
Pratica di mindfulness: La meditazione della montagna
© Nicoletta Cinotti 2016 Mindfulness e bioenergetica Foto di ©solange simondsen
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